martedì 28 dicembre 2021

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio

Posso raccontare almeno due episodi che suggeriscono di dar retta al titolo di questo post.


1.

Antefatto: Roma, una mattina qualsiasi di novembre

Mi accingo a raggiungere in scooter un'amica per far colazione assieme in un bar: subito dopo, dovrò andare a un funerale. Come al solito sono un po' in ritardo.

Mi immetto nella rotonda di una piazza. Accosta una macchina, che mi stringe sulla rotonda. Mi viene a sbattere.

Scooter illeso, io illeso, fiancata leggermente graffiata. La macchina si ferma.

Scende l'autista minacciando denunce all'assicurazione. Gli faccio notare che si tratta di un graffio e che ce la possiamo gestire noi, senza coinvolgere le due assicurazioni. Lui è d'accordo.

Ci scambiamo riferimenti e numeri di telefono. Afferma che si sarebbe fatto vivo la settimana successiva e si mostra sinceramente dispiaciuto del fatto che debba partecipare a un funerale.

Il tizio non si fa vivo. Resto perplesso, ma non bado molto a ricontattarlo e visto anche l'approssimarsi di un mucchio di scadenze lavorative in vista della pausa festiva mi passa di mente.

Fatto: ieri mi chiama l'agenzia di assicurazioni e mi riferisce che il tizio ha sporto denuncia nei miei confronti e chiesto il risarcimento (tramite l'assicurazione, ça va sans dire).

Che dire: oltre alla bruciatura "professionale", bel modo di mantenere un gentlemen's agreement.





2. 

Antefatto: Roma, una mattina qualsiasi di fine luglio

Il capo dello Studio in cui lavoro da ormai qualche mese imbocca nella stanza dove mi trovo per salutarmi in vista delle vacanze estive.

Mi dice che è complessivamente soddisfatto del mio lavoro e che a fine settembre faremo un discorso "complessivo" relativo al mio inserimento a Studio (e che - per espressa dichiarazione del titolare - parrebbe addirittura contemplare un aumento). 

Premetto che inizialmente mi aveva detto che sarei rimasto per sei mesi di prova e che, alla fine di questo periodo, avremmo tirato le somme e concordato i termini della mia permanenza. La "fine" della prova, dunque, già decisa allora per settembre, sembrava vicina e a favore di ciò deponeva anche l'ulteriore incontro di fine luglio.

Fatto: è il 28 dicembre e del discorso "complessivo" nemmeno l'ombra, nonostante io abbia condiviso con un Collega anziano (nonché "Vice" del sistema-Studio in cui mi trovo) le mie perplessità.

Cosa ha imparato Matassa da queste vicende:

1) Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, come da titolo

2) L'avvicinarsi delle vacanze (o addirittura le vacanze stesse) non costituiscono giustificato motivo per rallegrarsi, ché la fregatura è sempre dietro l'angolo.


Malfidatamente

Er Matassa



lunedì 13 dicembre 2021

Tra poco


Tra qualche giorno riprenderanno delle riunioni professionali che avevo l'abitudine di seguire sino a qualche settimana fa.

Incontri in cui non ero entrato, per così dire, spontaneamente e che mi sono sempre stati un po' sul cavolo, complici le innumerevoli perdite di tempo derivanti dalla puntuale assenza, a ognuna di esse, di un ordine del giorno che dettasse modi e tempi delle tematiche da trattare. Così, di 20 persone presenti, spesso ve n'erano solo 4 o 5 effettivamente interessate al tema o, viceversa, poteva capitare che fosse assente chi era stato investito del ruolo di "relatore" di un determinato argomento. Le riunioni si svolgevano dunque in questo modo, a cadenza settimanale. 

Finché non è successo qualcosa. Chi coordinava le riunioni, purtroppo, è scomparso. Temevamo che sarebbe potuto accadere, ma eravamo speranzosi, sino all'ultimo, che un miracolo risollevasse la sorte del coordinatore.

Così, prima ancora della scomparsa, le riunioni si sono diradate, poi non v'è più stata alcuna convocazione. E io, dall'angoscia mista a fastidio che provavo ogni volta che ricevevo la convocazione (specie durante il fine settimana), ero passato a esser desideroso di una nuova convocazione, per far sentire che, sì, c'ero anch'io per qualsiasi cosa, ove fosse stato necessario.

A breve si ricomincia e - sono sicuro - cambieranno diverse cose. Ma sono contento di continuare a - come si dice in alcuni ambienti - stare nel giro, foss'anche solo questo giro.

Giratamente

Er Matassa


lunedì 15 novembre 2021

Flusso di coscienza #56


Se si cresce assumendosi la colpa di tutto ciò che accade (i.e.: anche quando succede qualcosa per cui non hai responsabilità), presto si impara a farne un'abitudine. 
Per quanto malata, disfunzionale e tossica, assumersi la colpa, dover trovare una giustificazione, ricercare una convalida nell'altro diventa una dannata abitudine: una sorta di automatismo, direi.

E poi, alla fine, paradossalmente, proprio quelle persone che sanno benissimo come farti sentire in colpa se la prendono con te perché ti senti sempre in dovere di giustificare qualsiasi cosa tu faccia.

È difficile ricostruire i puntini e risalire, per così dire, dall'arrivo al punto di partenza di un determinato comportamento. Ed è arduo spiegarlo a te stesso, prima che a loro.

Modificare il disegno, soprattutto, è la cosa più complicata. Cercare di tracciare un solco lì dove è sempre cresciuta l'erba, abbandonare la strada che ti sei costruito e di cui conosci i pericoli e le trappole, per prenderne un'altra, mai esplorata, che di pericoli non ne ha, o ne ha di meno.

È complicato, certo, ma vale sicuramente la pena provarci. Si parla di "no" che fanno crescere, spesso con riferimento all'educazione dei figli.

Io credo che dovremmo trovare il coraggio di dire "no", prima di tutto, a noi stessi.

No al farci violenza facendo qualcosa che non ci procura alcun sollievo. No a sopportare il peso di qualcosa puramente e semplicemente perché a chiedercelo è qualcuno a cui teniamo. No a doverci giustificare davanti agli altri per qualsiasi cosa che facciamo, pensiamo o diciamo.

È maledettamente difficile. E quanta fatica costa? E quando uno vedrà i risultati di tutto ciò?
Ogni volta che lo metto in dubbio, mi volgo indietro e ripenso a tutti i "no" che ho detto e, soprattutto, mi sono detto (pochi, sinora). E a come alcuni di questi mi abbiamo fatto crescere e ancora oggi mi diano gioia.

Difficilmente

EM

mercoledì 20 ottobre 2021

Come la voce che ti insegue mentre leggi

Sono due giorni che Eureka torna a casa sull'orlo delle lacrime. Ieri, infine, è esplosa.

Troppo stress a lavoro, mi dice. Datori di lavoro che - ignari delle leggi della ..."fisica" (in senso lato) - la sommergono di compiti, senza però concederle abbastanza tempo per portarli a termine.

Lei, come me, è una perfezionista, e la vita dei perfezionisti è difficile. Niente è mai finito, tutto è perfettibile. Io provo a consolarla: a volte ci riesco, a volte no.

Lei lo sa benissimo, ma non le dico mai che anche io ho le mie scadenze e che queste, lentamente, mi stanno subissando. Il dividermi fra due mestieri (uno ahimè economicamente "imposto", l'altro agognato), del resto, non poteva portarmi altrove. "Almeno a te nel tempo di lavoro non ti chiedono di fare cose collaterali". Già, magari non sono le stesse persone a chiedermelo, ma altre, e nessuno capisce quanto ci voglia a fare tutto quanto. Certo, in questo guaio mi ci sono messo io: ma questo è un'altra storia...

Penso a tutto questo e mi ritrovo inevitabilmente a riflettere sul perfezionismo, sulla procrastinazione, sulle distrazioni. Tutte cose tra loro collegate, mi ha detto la mia psicoterapeuta Amazzone, la quale purtroppo non riesco più a incontrare da due settimane, vuoi per un sopravvenuto impegno di lavoro, vuoi per le dimissioni senza preavviso cortesemente rassegnate dal mio cellulare, che usavo normalmente come router wifi (ora, fortunatamente, me lo hanno riparato).


Spesso penso al perfezionismo come una rete, dalla quale vorrei fuggire senza riuscirci. Irretito è la parola giusta: mentre scrivo o faccio qualcosa mi sento sempre irretito. Mi viene in mente la voce interiore che ti insegue mentre leggi un libro, un giornale o qualsiasi altra cosa: tu leggi e, dentro di te, hai l'impressione di star perdendo qualcosa, di non afferrare tutto quello che c'è scritto, e vorresti sempre tornare indietro, all'inizio del capoverso, del paragrafo, del capitolo per vedere se effettivamente ti sei perso qualcosa. Sto cercando di non darle ascolto mentre leggo e forse ci sto riuscendo: "mi son perso qualcosa? Pazienza, vorrà dire che non era importante". 

Non dar retta alla stessa voce che ti insegue quando scrivi, anziché quando leggi, è invece molto più difficile. "Questo paragrafo avrei potuto scriverlo meglio?"; "quest'espressione qui sta bene?"; "avrei dovuto leggere anche quell'altro articolo?"; "ho già riletto tutto?". Sono solo alcune delle domande che mi faccio incessantemente mentre scrivo un atto, un parere, un articolo, una relazione o anche solo banalmente una mail o un sms. Poi ti chiedi perché sei incessantemente indietro rispetto alla vita (lavorativa e non solo).

Spero solo di riuscire a tenere botta e a uscirne bene. Per non esser trascinato nel baratro dello sconforto e dell'esaurimento. Per dar conforto a me stesso e a Eureka. Per il nostro lavoro e per la nostra convivenza.


Un po' (Di)speratamente

EM


lunedì 11 ottobre 2021

Medio Evo

 La scorsa settimana lo scooter mi ha lasciato a piedi.

"Che accadde?" vi chiederete voi. Non è accaduto proprio un bel niente: semplicemente, mi sono dimenticato di mettere la benzina. Quelle cose che non vorresti che accadessero, non sai perché accadono ma, alla fine, accadono. Complice il fatto che non c'è una spia che si accende e che te lo segnala.

Avevo la testa talmente oberata di cose che mi sono scordato di fare benzina. L'ultima volta che è successo è stato tre anni fa e fu immediatamente dopo aver saputo di non aver passato un esame importante. Ricordo ancora tutti i km in cui mi sono incollato l'allora scooter in questione.

Stavolta stavo andando a un impegno accademico meno importante, ma comunque non indifferente. Fortunatamente il mio cellulare funzionava ancora; e un taxi all'andata, uno strappo di un amico al ritorno (dal benzinaio e poi sino allo scooter abbandonato) hanno fatto il resto. Tutto (quasi) puntuale (un quarto d'ora di ritardo è stato fortunatamente ben tollerato).

Poi mi ha lasciato anche il cellulare. "Così, de botto, senza senso", il venerdì mattina ha deciso che doveva essere weekend anche per lui e si è spento senza mai più accendersi, arrestandosi alla schermata del logo della casa produttrice.

In cuor mio ho temuto di aver gioito troppo per il lockdown di Facebook e WhatsApp, che ha fatto sì che prendessimo la cornetta in mano e chiamassimo non Mondial Casa, ma gli amici con cui normalmente chatto nonostante la loro voce non la senta ormai da diverso tempo.

E niente, stamo col vecchio Nokia, che chi lo uccide quello, per carità. Il problema è che il bel Nokia non sa manco che cos'è un router wifi, figuriamoci se può diventarlo.

"Tra martedì sera e mercoledì mattina vediamo di che si tratta e lo restituiamo". Questa la tecnica dell'assistenza, alla quale temo di non aver rivolto uno sguardo di approvazione, anzitutto perché non era chiaro se i citati martedì sera e mercoledì mattina sarebbero stati i momenti in cui avrebbero "visto" di che si trattava o quelli in cui me lo avrebbero restituito.

Concludo questo stream of consciousness così, scritto in fretta e furia, perché anche oggi non so a chi dare i resti.

Avanzatamente

Er Matassa

lunedì 27 settembre 2021

Epilogo di una settimana (semi)solitaria

- Questo post doveva essere un preludio a una settimana (semi)solitaria ed è invece diventato un epilogo, tanto è stato il tempo che non sono riuscito a dedicargli

- Questo post doveva essere, appunto, un post ed è invece diventato una (semplice) lista

- Eureka è partita la scorsa settimana per un Master all'estero e per una settimana ho fatto vita "da scapolo", fino, appunto, a ieri

- pensavo di avere molto più tempo libero per fare sport, lavare e pulire casa, finire di scrivere gli articoli accademici che mi stanno col fiato sul collo, ma ovviamente così non è stato

- mia madre mi ha proposto di stare a casa da loro durante la suddetta settimana, cosa che con molto garbo ho declinato a tutela della mia già precaria salute fisica e mentale

- per non farci mancare nulla, lunedì mattina scorso mi sono ritrovato il cellulare improvvisamente senza credito, con conseguente interruzione di tutti i servizi (chiamate, sms, internet) e prima che capissi che l'operatore mi aveva tolto altri soldi (ma ancora non ho capito il perché) ho spento e riacceso il cellulare "alla 'gnorante", per capirci, per circa una mezz'ora, facendo tardi a lavoro

- in aggiunta, alle tre di notte tra domenica e lunedì una tizia ubriaca si è messa a urlare sotto casa e non so cosa mi abbia trattenuto dal lanciarle una secchiata d'acqua dalla finestra, visto che era la terza volta che si comportava in questo modo

- conseguentemente, ho provato a dormire utilizzando dei tappi

- il caso ha voluto che il volume della sveglia che avevo impostato sul cellulare (l'unica cosa che del cellulare continuava a funzionare a causa del deficit di credito di cui sopra) fosse molto basso, quasi impercettibile, figuriamoci con i tappi


- ne è seguito che ho sentito il suono di una sveglia automaticamente posposta per l'ennesima volta, per puro caso, con circa un'ora di ritardo sulla tabella di marcia e una marcia assurda per arrivare a lavoro in orario

- e in tutto ciò era solo lunedì, ma nel corso della settimana ho dormito davvero malissimo, per il chiasso e per l'agitazione

- mentre andavo a lavoro una macchina si mette a fare mezza tangenziale in retromarcia, ero così tanto tra il basito e l'incavolato che mi sarei voluto accostare all'autista e chiedere se lo avevano scritturato per il sequel di "Tenet" di Christopher Nolan

- temo che l'ansia che mi logora (anzi, ne sono sicuro) è il fatto che non riesco ad andare avanti nella scrittura, mannaggiamme che mi metto a rileggere ogni parola di quello che scrivo e ad ampliare le fonti bibliografiche, se avete rimedi sono ben accetti

- oltretutto, appena sembra che mi riesca a conquistare un attimo di concentrazione, sia a casa, sia al lavoro mi spalano guano addosso e pratiche da lavorare (da ultimo il 730 di mia madre su cui ho passato parte del weekend scorso)

- penso sia tutto, ma in realtà non lo è e vorrei scrivere molto di più, ma tra poco forse riesco ad andare ad arti marziali che è una delle poche cose che mi fa sentire bene in questi tempi (oltre la convivenza e la vicinanza di Eureka ora che è tornata, beninteso), anche se il giorno dopo ho i muscoli indolenziti che mi fa male anche aprire le porte e le ossa scricchiolanti che guai a me se salgo due gradini alla volta

- non so come finire questo post-elenco quindi sceglierò una parola a caso: agave


Agavicamente

Er Matassa

domenica 5 settembre 2021

Come il primo giorno di scuola

Giovedì mattina, 2 settembre.
Il primo giorno in cui io ed Eureka, la mia ragazza, ci siamo svegliati in casa nuova abbiamo dormito su un divano letto, che era già nell’appartamento, perché il materasso arriverà solo tra qualche giorno (sarebbe dovuto arrivare domani, ma il grande magazzino all’indomani dell’acquisto aveva già fatto slittare di qualche giorno la consegna...).

Eravamo stropicciati ma felici. Stropicciati, perché nessuno dei due era (ed è) abituato a dormire in una casa che si trova in pieno centro urbano, in posizione centrale ma proprio a fianco di una strada di grande scorrimento. E non è stato tanto il brusio – tutto sommato anche piacevole – del locale vicino casa a farla da padrona, quanto il traffico molesto di camion e snodabili che, a notte fonda e la mattina presto, percorrono la strada in questione per entrare ed uscire dalla Capitale. Felici per aver dormito per la prima volta nella nostra nuova casa: un proposito che sino a pochi mesi fa sembrava lontanissimo e che, nel giro di poco, pochissimo tempo, si è avverato. 

Abbiamo fatto colazione insieme, poi mi son vestito con i mal sopportati abiti da lavoro: camicia, giacca, vestito e cravatta. 
Il primo giorno in cui io ed Eureka ci siamo svegliati in casa nuova non mi ero mai trovato a dover salutarla vestito per andare a lavoro anziché in maniera informale: ci salutavamo la sera o, comunque, se me ne andavo la mattina dopo esser stato a casa dei suoi mi vestivo in maniera informale, perché in qualche modo – pur svegliandomi molto presto – riuscivo sempre a rientrare a casa dai miei per il “cambio d’abito”.

Così, quando mi son presentato a Eureka per salutarla, mi ha detto che le sembrava quasi “come il primo giorno di scuola”.
Ero d’accordo. E all’improvviso lo zainetto che avevo sulle spalle mi ha ricordato moltissimo quello che mi portavo dietro alle elementari, carico di speranze, di energia e di voglia di futuro.

Penso che avrò voglia di tutte queste cose – speranze, energia e voglia di futuro – nell’immediato avvenire, con lei e nel lavoro. In particolare nella settimana che segue, nella quale – tanto per cambiare – sono venute a sovrapporsi trecentomila scadenze che non so se riuscirò a rispettare. E spero dannatamente che la mia disorganizzazione (lavorativa in primis) non vada a scapito della mia (nostra) nuova vita.

Disorganizzatamente
Er Matassa

martedì 31 agosto 2021

Disordini reali e ricordi virtuali

I traslochi, si sa, portano scompiglio e confusione.

Spesso, però, sono anche un'occasione preziosa per sbarazzarci di ciò che di superfluo conserviamo (a volte inconsapevolmente!) nei cassetti degli armadi, che si tratti del cappello orribile regalato dalla zia Tarcisia nel Natale 2006 o della maglietta della squadra di atletica che indossavi ai tempi d'oro e che oggi non ti entra più nemmeno per un braccio.

Ciò considerato, Matassa desiderava sublimare il mettere ordine a modus operandi universale, da applicare anche ai beni immateriali oltre che a quelli materiali (sappiamo tutti che la verità è che si dedica ai primi per posticipare il momento in cui dovrà fare i conti con i secondi). Si è quindi ritrovato a passare al setaccio la lista dei blog che segue privatamente o pubblicamente per verificare chi fossero i blogger che avevano appeso la tastiera al chiodo.

Matassa si porta dietro questa lista da diversi anni: risale, infatti, ai tempi universitari, soprattutto a quelli in cui da studente Erasmus si divertiva a condividere usi e costumi degli stranieri (tedeschi in particolare) con i malcapitati che capitavano sul suo blog: persone dapprima già note, perché conosciute "in presenza" (come si usa dire oggi, ai tempi del Covid-19 e della DAD), poi anche amicizie virtuali. Alcuni di tali lettori avevano a loro volta dei blog e Matassa era lieto di poter leggere la realtà attraverso le "finestre" di queste persone, spesso aperte anche su Paesi molto lontani geograficamente, culturalmente ed economicamente.

Tra i vari blog che ha aperto e chiuso, da buon accumulatore seriale quale è, Matassa si è sempre portato questa lista appresso, spesso rimpolpandola con i nomi delle nuove persone che incontrava lungo la strada; mai, però, riducendola o eliminando quelli che già c'erano, e ciò prima ancora che diventasse consapevole di quell'esigenza di anonimato, seppur parziale, che andava facendosi strada.

Scorrendo la lista, Matassa ha visto che molti dei blog che seguiva non venivano aggiornati da molti anni: alcuni addirittura da sette, otto anni. Ha preso dunque coraggio e ha depennato dalla lista i blog che da tanto tempo non davano più segno di vita.

Mano a mano che procedeva a quest'operazione, Matassa si è visto passare davanti agli occhi tante cose relative ai blog inattivi: alcune frasi particolarmente toccanti, post che hanno sortito un dibattito o dei commenti particolarmente abbondanti, addirittura incontri organizzati dal vivo con qualche autore conosciuto sul web. E non ha potuto fare a meno di provare un po' di malinconia in tutto questo.


La lista, adesso, è aggiornata, ma gli indirizzi di tutti i blog depennati (assieme ai relativi autori), alla fine, sono stati comunque salvati da un'altra parte, perché Matassa - che, lo ricordiamo per l'ultima volta, è un buon accumulatore seriale - è convinto che ogni tanto andrà a rispulciarli, nella speranza di trovare qualche nuovo post dei suoi vecchi amici da leggere e commentare.


(dis)ordinatamente

Er Matassa

lunedì 30 agosto 2021

Di sogni continuati e ansie discontinue

Stamattina (domenica 29 agosto), come a volte mi succede, mi sono svegliato e riaddormentato più volte, ritrovandomi nelle pause in cui dormivo a fare lo stesso sogno, anzi: a continuarlo.

Stavolta, però, c'era un filo conduttore in tutti i frammenti di sogno: il fatto che io, a un certo punto del sogno stesso, mi ricordassi che sarei dovuto essere a lavoro e invece stavo facendo qualcos'altro.

Così sognavo di farmi la doccia e, uscendo dalla cabina, ho lanciato uno sguardo all'orologio a muro del bagno che segnava le 9.30 e ho pensato: "Ma oggi è lunedì 30 e riprendo a lavorare. Quindi avrei dovuto essere a lavoro per le 9. Quindi sono in ritardo di mezz'ora!".

Poi mi riaddormentavo e il sogno proseguiva.

Così sognavo di vestirmi e, indossando l'orologio da polso e avvedendomi che segnava le 10.30, ho pensato di nuovo: "Ma oggi è lunedì 30 etc. etc. (come sopra). Quindi sono in ritardo di un'ora e mezza!"

Ora, arrivato al punto del sogno in cui realizzavo di aver (più volte) beatamente bucato l'orario di lavoro, in genere mi sono svegliato ritrovandomi tutto sudato nonostante la frescura incipiente delle mattine di fine agosto e abbondantemente ansioso nonostante fosse ancora domenica e non lunedì.

Come se non bastasse, al miscuglio di ansia da ripresa e dormiveglia, a un certo punto del sogno, si sono unite constatazioni del tipo: "Ok, ora mi cambio, mi metto in giacca e cravatta e vado a lavoro. Un momento: le giacche e le cravatte sono ancora tutte a casa dei miei genitori! Non solo sono in ritardo, ma ho appena traslocato e mi sono scordato a casa vecchia una parte degli abiti da lavoro"!

Anche in questo caso, ovviamente, il trasloco non si è ancora concluso, perché è solo a partire da mercoledì che ci insedieremo ufficialmente nella casa nuova. In maniera provvidenzialmente premonitrice, il sogno mi ha ricordato che tra le cose che man mano sto portando a casa nuova mancano ancora le giacche e le cravatte (le ho appena sistemate in un angolo del salotto, pronte per la prossima tranche del trasloco).

Dicunt che anche Magritte sognasse a occhi aperti

Sono proprio curioso di sapere come andrà a finire la settimana che verrà. La ripresa del lavoro, il trasloco (quasi) ultimato e l'inizio della convivenza condiscono in maniera particolarmente piccante la ripresa di quest'anno. Sebbene io adori il piccante, spero proprio di non finire ustionato!


Ardentemente

Er Matassa


giovedì 26 agosto 2021

Due mondi distinti

In vista della (tanto imminente, quanto meditata) convivenza stanno emergendo i diversi modi in cui Matassa, l'autore di questo spazio virtuale avviluppato, ed Eureka, la sua ragazza, affrontano i medesimi problemi. L'occasione - inutile dirlo - è rappresentata dai preparativi del trasloco.

Da una parte, ad esempio, c'è Eureka che, già all'indomani della sottoscrizione del contratto e a diversi giorni dal trasloco, aveva:

- anticipato le scadenze lavorative per potersi dedicare appieno ai preparativi domestici durante le ferie;

- radunato, lavato e imbustato tutto ciò che era da radunare, lavare e imbustare per poter essere portato nella casa nuova (vestiti, biancheria, cambi di stagione);

- suddiviso il così radunato/lavato/imbustato in sacchetti distinti per area della casa di destinazione (salotto/cucina, bagno, camera da letto; e sì, Matassa sapeva che si trattava pur sempre di un bilocale, ma paradossalmente è stato proprio l'ordine della sistemazione a dettargli interiormente un certo scompiglio...).


Dall'altra parte, poi, c'è Matassa, che a meno di una settimana dal trasloco:

- è rimasto con (non uno, ma) due articoli scientifici da chiudere entro la prima settimana di settembre (nella quale rientrerò anche a lavoro, ndr), i quali, non potendo essere affrontati subitaneamente, di ripiego sono andati a costituire il Leitmotiv mentale e il sottobosco di pensieri che accompagnano Matassa in ogni attività - dalla doccia alla pulizia degli armadi, passando per il montaggio di sedie e mobili di Ikea;

- non ha la più pallida idea né di come stabilire un ordine di priorità delle cose da portare con sé nella casa nuova, né - soprattutto - di dove tali cose siano, ammesso e nient'affatto concesso che la loro individuazione per priorità sia andata a buon fine;

- non rinvenendo le cose in parola e arrivando addirittura a dubitare della loro esistenza su questo mondo, figuriamoci se riesce a lavarsele, stirarsele e organizzarsele con criterio;

- ciononostante (i.e. nonostante i tentativi infruttuosi di riuscire dove nemmeno Indiana Jones potrebbe), la (vana) attività di ricerca (in senso sia scientifico, sia logistico) condotta da Matassa in questi giorni ha conferito alla sua stanza le fattezze di un locale sopravvissuto a una declinazione dell'uragano Henri particolarmente bellicosa, visto lo stato attuale di intollerabile disordine in cui essa versa (per fare un esempio, ancora Matassa non capisce come abbiano fatto i suoi calzini a finire appesi sul lampadario).


Senza infine considerare che - tanto per dire - Matassa è davvero curioso (per non dire molto spaventato) di vedere come questa e le altre differenze tra lui ed Eureka si compenetreranno, una volta iniziata la convivenza.

Ma alla fine pensa che, forse, è proprio questo che andava cercando. E non può che abbozzare un sorriso.


Er Matassa (che stasera, a proposito della convivenza, si sente un po' ibis redibis)




sabato 21 agosto 2021

Di traslochi, convivenze e (pseudo)ferie d'Agosto

Pensavo che questo momento non sarebbe arrivato, o quantomeno che non sarebbe arrivato così a breve. Ancora quattro mesi fa, infatti, nonostante Eureka (per gli avventori non abituali: la mia ragazza) avesse le idee chiarissime al riguardo, ero io a nutrire seri dubbi. 

Andare a convivere? Ma no, ho bisogno, anzitutto, di un posto per me, quando me ne andrò via da casa dei miei. Già, ma quando me ne andrò via?

E continuavo a girare intorno all'argomento, non trovando una risposta perché mi ostinavo a ragionare e a prendere in considerazione aspetti del tutto secondari rispetto a ciò che davvero contava. Da solo, insieme o non se ne fa niente e resto dai miei? Questa era la domanda fondamentale che - senza neppure saperlo - continuavo a rifuggire.


Poi, all'improvviso, Amazzone (per gli avventori non abituali: la mia psicologa) mi dice di concentrarmi sulle sensazioni e di provare a ragionare, oltre che con la testa, anche con la pancia. "Per le decisioni importanti servono entrambe e tu hai sempre e solo deciso 'con la testa'", mi ha detto più e più volte. Iniziare a fare i conti con le proprie emozioni e sensazioni, dar loro retta, trovare una valvola di sfogo, arrabbiarsi - e non annullarsi - per far capire agli altri che ci sei anche tu. Tutte esperienze un po' nuove, in fondo, per me.

Nuove come la decisione che ho preso: andare a convivere. Eureka era lì, ad aspettarmi o meglio ad aspettare di sapere se io decidessi fare qualcosa. Piano piano, chiacchierata dopo chiacchierata, è emerso cosa io volessi veramente: avvicinarmi a lei, vivere una nostra quotidianità (già difficile di per sé ai tempi pre-Covid, figuriamoci adesso) al di fuori della "bolla di sapone" in cui spesso, volenti o nolenti, ci caliamo.

Di lì i passi successivi sono stati lenti ma incessanti. Individuata la zona "papabile" (a metà strada tra i posti di lavoro e le famiglie di entrambi, diciamo), abbiamo aspettato qualche settimana prima di metterci materialmente alla ricerca di un affitto e spesso, per visitare appartamenti, prendevamo con le agenzie immobiliari appuntamenti che erano poi annullati - magari il giorno stesso dell'appuntamento! - perché era stata fatta una proposta.

Alla fine si è tutto giocato nel giro di una settimana. L'appartamento era bello, la zona papabile, l'agenzia immobiliare disponibile. Abbiamo visitato l'appartamento, parlato con il proprietario, fatto la proposta, avuto immediata notizia della sua accettazione.

Ho scritto questo post due giorni prima della sottoscrizione del contratto, ma per scaramanzia (!) volevo attendere che tutto andasse a buon fine prima di tirare un sospiro di sollievo. Poi è arrivato agosto, le prime due settimane lavorative e, infine, le agognate (quasi)ferie (n.b. quasi perché mi tocca finire di scrivere articoli che ho iniziato eoni fa e mai completato, ndr). Insomma, la pubblicazione di questo post era finita in cavalleria, nonostante preludesse a un qualcosa - il trasloco - che è inesorabilmente destinato a svolgersi nell'ultima settimana di agosto, che coincide con l'ultima settimana di (quasi)ferie, prima della terribile ripresa di settembre.

Penso che molte cose cambieranno. Rapporti personali (con la mia ragazza, con la mia famiglia, con i miei amici). Abitudini lavorative. Tragitti giornalieri (e chi vive a Roma sa come il tragitto casa-lavoro possa fare la differenza in una giornata; però in questo caso dovrebbe andare tutto a mio favore). Forse anche la (in)costanza con cui aggiorno questo piccolo spazio sul web che ho ritagliato per me. Quello che penso sicuro, però, è che ne vedrò delle belle e che, tempo permettendo, continuerò a raccontarlo qui.


Traslocatamente

Er Matassa

venerdì 20 agosto 2021

Promessa al pubblico


Prometto solennemente che oggi è l'ultima volta che farò delle cavolate tipo quella che ho fatto oggi. E della quale non racconterò oltre, perché me ne vergogno.

Per chi non si accontenta, mi spiace.

Per chi si accontenta, basti sapere che non è la prima volta che faccio a me stesso questo tipo di promessa. Chissà, però: da qualche parte ho letto che, se prendo un impegno nei confronti di un pubblico - ancorché (semi)sconosciuto -, magari è più probabile rispettarlo. Vedremo.


Ho tanto da scrivere e poco tempo per farlo, magari nei prossimi giorni andrà meglio. Il precipitato di queste ultime settimane, tuttavia, è: per ogni cosa che va nel verso giusto, ve n'è (almeno) un'altra che va in quello sbagliato.

Confessoriamente

Er Matassa


lunedì 2 agosto 2021

Agosto quel che costi

 Per molti sono iniziate le ferie; non per me, purtroppo o per fortuna.

Purtroppo, perché dovrò attendere ancora almeno sino a ferragosto per poter trascorrere le mie agognate due settimane di vacanza. Che poi verosimilmente non si tratterà quasi sicuramente di vere e proprie vacanze, quanto soprattutto di periodo di non-lavoro-a-studio-ma-faccio-altre-cose-utili e, solo in seconda battuta, di relax.


Per fortuna, perché ho ancora due settimane per portare a termine alcune scadenze che mi porto dietro da tempo immemorabile. Da buon procrastinatore seriale, infatti, sono riuscito a ridurmi all'ultimo secondo per delle consegne sia di lavoro, sia universitarie. È proprio vero che più tempo uno ha, più tende a non spenderlo. Nel mio caso, però, riconosco che la cosa sia accentuata in modo preoccupante. Non ho proprio idea se riuscirò a farcela oppure no. Nel qual caso v'è il rischio che potrei ridurmi nello stato del tipo della foto qui accanto.

Oltre alle distrazioni abituali, ci sono anche altri avvenimenti che stanno minando la mia già labile concentrazione quotidiana. Visite mediche, preoccupazioni varie, problemi familiari - purtroppo al momento soprattutto di Eureka (i.e. la mia ragazza, per gli avventori non abituali). Forse anche qualche gioia - per vero quasi in tasca, ma non del tutto scontata: toccherà, dunque, aspettare ancora, prima di poterlo dire con certezza.

Nel frattempo mi tocca leggere e vedere di gente che prima insulta il Governo per il Green Pass, poi, una volta ottenutolo, se ne va nei peggio posti a fare il delirio e a pubblicizzarlo, per fortuna soprattutto sui social che detesto e che frequento poco o niente (i.e. Instagram e TikTok), mentre Facebook (per desuetudine?) e Twitter (per snobismo?) sembrano, per il momento, salvi.

A dire il vero, Twitter mi sta piacendo un sacco in realtà. Il filtro di dover dire qualcosa necessariamente in pochi caratteri - o meglio: di poter dire tutto, ma sinteticamente e redatto (anche per questo) in maniera tendenzialmente comprensibile - fa sì che mi stia trovando particolarmente bene.

Beh, vedremo dai. Ci sentiamo qui o su "Twitter" (in realtà con alcuni colleghi di lavoro in confidenza lo chiamo in un altro modo... ma direi che non è il caso di farne parola qui:))


Er Matassa (in attesa...)

martedì 27 luglio 2021

Di giacca e cravatta, ossia di come sarebbe meglio che l'abito facesse il monaco

Avevo messo tra i propositi di oggi quello di andarmi a prendere una granita al limone, se non altro per poter dire a me stesso, a fine giornata, che almeno una delle cose che mi ero prefissato l'avevo portata a termine.

Entro nel bar e, dopo aver pagato alla cassa, mi dirigo spedito verso il banco gelateria sul lato opposto del locale, convinto che l'obiettivo del giorno sarebbe arrivato da quella parte.

"Ehi, ragazzo, per la granita devi venire da me!", mi fa però il cassiere dopo appena qualche istante.

Faccio dunque dietro-front e torno verso la cassa, dalla quale il cassiere si è diretto al reparto affianco per riempirmi il bicchiere della tanto agognata granita al limone.

Ciò che mi ha dato un po' da riflettere, più che il non aver indovinato la provenienza della granita, è il fatto che, dopo che il cassiere mi ha chiamato "ragazzo", le due colleghe che stavano chiacchierando in disparte prima se lo sono guardato bene, poi gli hanno detto "be', poi, ragazzo...", come a dire "te pare che lo chiami ragazzo?"


Ora, probabilmente l'osservazione delle colleghe del cassiere è stata dovuta al fatto che fossi vestito "da lavoro": seppur senza giacca - opportunamente abbandonata a studio per non incorrere in bagni turchi involontari - avevo indosso i pantaloni scuri dell'abito, una camicia (seppur con maniche arrotolate) e una cravatta, che forse mi conferivano un'aria adulta e non si addicevano a un "ragazzo".

A pensar male, però, spesso si indovina, e quindi - non senza timore - temevo che l'animus corrigendi che ispirasse le donzelle in questione fosse più del tipo "ma l'hai visto questo? Ormai c'avrà un'età, altro che ragazzo!"

Al che, ovviamente punto dal sospetto che, delle due plausibili motivazioni, quella effettiva fosse la deteriore, ho lanciato un'occhiata assai eloquente da sopra la mascherina e ho risposto: "Ragazzo, certo!", dove il sottotesto era: "Il cassiere ha avuto proprio ragione a chiamarmi ragazzo, vorrei ben vedere se uno alla giovine età di trentun anni deve sentirsi chiamare 'Signore'!".

Detto ciò, una delle due donzelle ha accennato un "no ma infatti, solo che vestito così...", avvalorando la migliore delle ipotesi. Ma lasciando in me il sospetto che la motivazione reale fosse l'altra...

A volte, come dicevo, sarebbe meglio che l'abito facesse il monaco!


Sospettosamente

Er Matassa


P.S. Sì, qualche settimana fa ho fatto trentun anni. Dicevano che ne dimostrassi di meno... 

(...sino a oggi!)

venerdì 23 luglio 2021

Comunicazioni professionali e professionisti della comunicazione



Da quando sono arrivato nel nuovo studio sono stato discretamente apprezzato, ma mi dicono che una delle cose su cui ancora devo lavorare - oltre al settore molto specifico in cui lo studio svolge la propria attività - sarebbe la comunicazione professionale.

Mi spiego meglio. A differenza dello studio dove mi trovavo prima - impegnato soprattutto sul fronte processuale e della pareristica classica ("pareristica classica": il cliente ti pone uno o più quesiti, hai a disposizione x tempo - es. una settimana - per redigere un parere legale), qui si fa molta consulenza ("consulenza"= il cliente ti pone day by day specifici quesiti, spesso anche più di uno per singola mail, quesiti ai quali tendenzialmente devi dare risposte in tempi rapidi, con risposte esaurienti, sintetiche e comprensibili).

Completezza, sintesi e comprensibilità, dunque, sarebbero i tratti di una comunicazione professionale efficace, a maggior ragione quando si agisce non come "difensori", ma come "consulenti". 

Ora, devo ammettere che già in passato sono stato ripreso per essere eccessivamente "verboso". Diciamo pure che, nello scrivere, non ho proprio il dono della sintesi, ma semmai la maledizione dell'analisi, della quale - lentamente e faticosamente - sto cercando di liberarmi.

Ciò premesso, però, spesso un Collega mi dice che scrivo email eccessivamente "lunghe" o in linguaggio troppo "giuridichese" e, se a volte la critica mi sembra fondata, altre volte credo invece di essere io ad avere ragione.

La mail è troppo lunga?

Guarda che sto chiedendo al cliente di rilasciarmi una procura alle liti ("rilasciarmi una procura alle liti" = darmi il suo mandato per rappresentarlo e difenderlo in giudizio), non di uscire a cena con me (per quanto anche in questo caso una severa opera di convincimento è stata a volte necessaria). Per questo gli sto dando tutte le informazioni utili a capire il contesto in cui ci troviamo, nonché vantaggi e rischi ai quali potrebbe andare incontro!

La mail è troppo "giuridica"?

Oh amico, ok che uno - come si dice a Roma - deve "parlare come magna", ma è anche vero che esistono diversi modi di magna' e se vai dar macellaro quello che te fa 'e fettine bbone devi saper capire er tajo che te vole rifila'. Uscendo di metafora, quindi, se vai dall'avvocato, ci vai perché ti garantisca un certo tipo di competenze e di risposte alle domande che gli poni. Quindi, sì alla comprensibilità, ma non penso che - quando possibile - debba andare a scapito della professionalità.

Insomma, penso che certe informazioni siano essenziali e che essenziale sia renderle in un linguaggio sì comprensibile, ma tecnicamente corretto e a volte mi pesa davvero tanto metter mano a qualcosa che penso di aver scritto bene.

Il rischio, altrimenti, è quello che, nel dover scrivere comunicazioni professionali, si diventi, al più, dei "professionisti della comunicazione". Con tutto il rispetto per questi ultimi, beninteso. Ma l'avvocato è solo questo? Non è piuttosto anche altro?


Perplessamente

Er Matassa


P.S. Chissà se Saul Goodman, al secolo "Jimmy" McGill, sarebbe d'accordo con me...

giovedì 22 luglio 2021

"Blocchi" di partenza (in tutti i sensi)

L'altro ieri mi sono svegliato dopo aver fatto un sogno un po' strano.

Mi trovavo nel bel mezzo di una gara di velocità atletica leggera, sulla corta, anzi cortissima distanza: saranno potuti essere 60 o 100 metri piani.


Lasciando correre sulla ferita riaperta già così sul mio trascorso giovanile da velocista e sui relativi infortuni, ricordo distintamente che nel sogno, al grido di "ai vostri posti!" dello starter, vado per posizionarmi sui blocchi di partenza, esattamente come avevo imparato a fare. Misurati e posizionati i blocchi utilizzando i piedi e le dita delle mani per le misure più corte, mi inchino, protendo le mani in avanti e fletto i piedi all'indietro, che si vanno a posizionare saldi sui blocchi. 

"Pronti!".

Sollevo il bacino, concentrato solo sul mio respiro e con lo sguardo fisso sul tartan dal caratteristico colore bordeaux, leggermente sbiadito.

Mi azzardo a vedere con la coda dell'occhio se anche i miei avversari si sono posizionati sui blocchi e... con mio grande stupore, vedo che come me aspettano sì il "Via!", ma... in piedi, come si usava fare prima che regolamentassero i blocchi di partenza e come, talvolta, avviene in certe gare (soprattutto le amichevoli o quelle di importanza più locale che altro).

"Ma come! Non è possib..."

"VIA!"

E fu così che Matassa si stava ancora rendendo conto che era l'unico posizionato sui blocchi di partenza, mentre gli altri atleti amatoriali già gli avevano dato una pista.

A niente gli valsero le proteste, anche sonore, all'esito della gara, sul fatto che il regolamento prevedesse tutt'altro.

Sconsolato, lasciò l'arena con le scarpe chiodate appese al collo, a lacci legati.

Cosa avrà mai voluto dire?


Oniricamente

Er Matassa

martedì 6 luglio 2021

Semafori e ragnatele

Ieri mi sono attardato innanzi un semaforo mentre tornavo a casa da una sessione di karate (che da poco abbiamo salvificamente potuto riprendere in presenza).

Mentre attendevo pazientemente che scattasse il verde, ho visto che la luce rossa emanata dal semaforo era curiosamente filtrata da una coltre di ragnatele nella quale non avrei assolutamente osato mettere la mano.

Scattato il verde, invece, nessuna ragnatela si era materializzata. E così sia per il semaforo che si trovava nel mio senso di marcia, sia per quello opposto (che però ammetto di aver visto solo fugacemente).

Prima di questo episodio avrei pensato l'esatto contrario, ossia che i ragni avrebbero preferito farsi la tana sotto la luce verde, che dovrebbe essere quella più duratura e - dunque - maggiormente propizia di vivande. Evidentemente mi sbagliavo...

Non so se vi sia una correlazione tra la tonalità rossa e il procacciamento di insetti, ma il proliferare di ragnatele solo lì mi ha fatto pensare. 

Quanti semafori verdi si incontrano nel corso della propria vita? Io di rossi ne ho sicuramente incontrati molti di più. Piazzati lì dalla famiglia, dai colleghi di lavoro e - last but not least - da me stesso, aspettando che arrivasse qualcuno o si verificasse chissà che cosa.

Mi sono spesso rimproverato di avere tanti freni, ripensamenti, remore. Senza pensare che spesso, paradossalmente, il semaforo rosso è il miglior via libera che uno può avere, se in mente ha, grosso modo, una direzione (della serie: "tutte le strade portano a Roma"...).

E così, prima di inabissarci in una strada senza uscita, fermarsi al semaforo giusto e prendere un'altra strada è stato salvifico. Così come è salvifico il semaforo rosso per la popolazione aracnide.

Ora, però, sento che sta arrivando il momento in cui occorre dar fondo a tutto quello che uno è capace di spendere, senza paura di aver dato o di aver dato troppo, e percorrere fino in fondo certi itinerari.


Movimentatamente

Er Matassa

sabato 26 giugno 2021

Pensieri di fine giugno sparsi al vento

Non scrivo qui da un mese esatto. E dire che di cose, nel frattempo, ne sono successe...

Non ho molto tempo, fra poco dovrò uscire e sicuramente non riuscirò a riorganizzare le idee e mettere in ordine tutto ciò che è accaduto nel mentre. Provo ad andare, diciamo così, per punti.

Il lavoro con Amazzone, la mia psicoterapeuta, prosegue tra alti e bassi ma - a suo dire - in maniera molto proficua. In effetti sento che qualcosa in me sta cambiando: alcune cose più velocemente, altre assai di meno. Spesso ho la sensazione di ritrovarmi al punto di partenza, ma mi basta riflettere anche solo per un secondo su quello di cui parliamo insieme per capire che non è così.

Dal punto di vista lavorativo procede tutto bene nel nuovo posto (ormai relativamente nuovo, beninteso, visto che sono più o meno quattro mesi che sto lì). Certo, c'è stata qualche sbavatura, ma niente di irrecuperabile. Imparo sempre di più ad accorgermi dei pro e dei contra rispetto al posto in cui mi trovavo prima (alla fine, tirando le somme, è da un po' più di un anno a questa parte che non sto più lì: il tempo fugge proprio!). Imparo anche però a capire quali sono le attività che, nel lavoro, riescono a entusiasmarmi di più. E anche questo penso sia un punto molto importante.

Dal punto di vista accademico, cerco di barcamenarmi come meglio posso. Purtroppo non ero, non sono, né sarò mai, ubiquo: mi spiace dover rinunciare a molte delle cose alle quali potrei prendere parte (altre, a dire il vero, non mi dispiace per niente saltarle, perché sono solo delle gran menate). Sono molto indietro su alcuni lavori che avrei dovuto consegnare tempo addietro e non mi è sufficiente lavorarci nei soli fine settimana, in cui tra l'altro sono gli unici giorni in cui ho la possibilità di stare con la mia ragazza. Cerco di ritagliarmi spazi a lavoro, ma sta diventando sempre più difficile, considerando anche che mi stanno iniziando a dare da fare sempre più cose.

Dal punto di vista sentimentale, con la mia ragazza, Eureka, in generale va molto bene. Anche qui ci sono alti e bassi e momenti di incomprensione, condivisione e solitudine. La difficoltà di vivere in due città diverse e riuscire a vedersi solo nei ritagli di tempo e nei weekend fa sì che parlare a quattr'occhi di cose importanti per noi - le nostre sensazioni, i progetti per il futuro, i problemi sul lavoro e a casa - sia molto difficile.

Ci piacerebbe andare a convivere. Ed è una decisione che, almeno a me personalmente, ha richiesto attesa, tempo e riflessione. Anche lei è stata molto titubante al riguardo, per motivi culturali e familiari, ma è arrivata a questa conclusione prima di me. Siamo, dunque, giunti a questa risposta, a questo proposito, ma non sappiamo ancora né quando, né come avverrà; speriamo entro l'anno. Di ciò (e delle avventure e dis-avventure che sicuramente saranno legate a tali vicende) mi piacerà sicuramente scrivere.


Dal punto di vista familiare, ci sono tanti momenti di alti e bassi con la mia famiglia (soprattutto con mia madre). Cose che ovviamente riguardano anche il rapporto con la mia ragazza. Quanto è difficile affermare il diritto a essere felici? Quanto è difficile far capire a qualcuno che la felicità è ciò che vogliamo noi e non ciò che qualcuno crede sia meglio per noi? Quanto è difficile far capire a qualcuno che a trent'anni vuoi cose diverse da quando ne avevi venti (anche venticinque, perché no?). Penso che tutte queste cose stiano venendo alla luce per via del rapporto con Amazzone e degli innumerevoli spunti di riflessione che da ciò si dischiudono.

Ho scritto di getto, sicuramente avrò detto qualcosa in modo contorto o sgrammaticato.

Ma sento che è proprio questo che mi serve: commettere degli esercizi di imperfezione, nella scrittura così come nella vita.


Imperfettamente

Er Matassa

mercoledì 26 maggio 2021

Barba (with or without you)


Stamattina son dovuto andare in ospedale per svolgere degli esami. Per alcuni di questi era richiesto che mi radessi completamente il volto.

Era diverso tempo che non mi tagliavo completamente la barba. Non che ne abbia chissà quanta, beninteso: il fatto è che già di mio dimostro meno anni di quelli che ho, per cui, quando la barba è iniziata a comparire, ho preso a farla crescere, forte e orgoglioso di quei quattro bulbi in croce che mi facevano guadagnare qualche sentore di maturità in più e che sembravano dare un po' di tono all'allora me neodiciottenne, soprattutto se nei paraggi avevo adocchiato qualche ragazza. Senza barba, viceversa, mi hanno sempre dato sui 16 anni o giù di lì, sicché tendevo - e tendo oggigiorno - a curarla, ma soprattutto a raderla non del tutto.

In ospedale mi hanno chiesto se ero maggiorenne e, dando per scontato che non lo fossi, cercavano un mio accompagnatore.

Morale della favola: ora che ho varcato la soglia dei trenta, l'esser scambiato per qualcuno più giovane inizia a non darmi più tanto dispiacere. Anzi...


Sbarbatamente

Er Matassa

venerdì 14 maggio 2021

Dentro una pressa

 All'inizio volevo scrivere "con un piede in due scarpe", ma cercando su Internet ho scoperto che ha una connotazione negativa, di persona approfittatrice e arrivista. Poi ho pensato a "con due piedi in una scarpa", ma ho letto che in Sicilia lo usano per dire a qualcuno di starsene composto.


Così, nella speranza di riuscire fuorviante il meno possibile, ho deciso di intitolare il post in questo modo, per cercare di restituire l'idea di sentirmi "dentro una pressa". Le due forze che animano questa pressa - Professione e Università - sono ancora lontane fra loro, beninteso, ma sento, percepisco che gli impegni che ne discendono si stanno accumulando piano piano e che se non faccio qualcosa, mi schiacceranno. E io sto rimanendo inesorabilmente con un bel po' di arretrato...

Certo, rispetto al passato ci sono stati dei miglioramenti. La concentrazione è migliorata, la produttività anche. Ma a volte mi sento un po' come Achille e la Tartaruga del vecchio Zenone: più uno cerca di star dietro alle cose che gli interessano, più ha l'impressione di rimanere indietro. E, allo stesso modo, più queste sono, meno uno riesce a star dietro a tutte quante.

Stasera i miei amici si vedono per uscire. Lo abbiamo fatto anche la settimana scorsa, abbiamo cenato fuori, all'aperto (ché solo all'aperto si può stare nei locali almeno per ora), ma con una fiumana di gente intorno. Altro che distanziamento fra tavoli e mascherine. Oggi, così, ho deciso di passare (tradotto in caso di equivoci: di soprassedere) e di tornarmene a casa, complici anche la pioggia, diverse letture universitarie da ultimare e il mood non proprio da "serata".

Lo stesso mood che mi sentivo un po' ieri sera, dopo essere stato da Amazzone, la mia terapista. Premetto che ogni volta che esco da una terapia con lei sto meglio, eh. Solo che mi sento sempre un po' centrifugato: ché alla fine tutto questo scavarsi dentro mette un po' in subbuglio. A volte mi sento un po' come se stessi tirando fuori dall'armadio roba messa a casaccio e accumulata lì nel corso degli anni e poi cercassi ordinatamente di rimetterla a posto, mettendo da parte gli abiti troppo stretti o troppo rovinati per darli via. È un lavoro che ti fa sentire meglio, ma che fatica...

Così faticoso che ieri sono andato a letto praticamente senza cenare (dico praticamente perché l'unica cosa di cui avevo voglia era qualche pezzo di uova di cioccolato ancora avanzato da Pasqua). E a me in genere l'appetito non manca affatto!

Mi sento, poi, di preferire in questo momento a una serata pur chiassosa e magari allegra un incontro con gli amici a tu per tu, pochi per volta, oltre che per ragioni legate al Covid anche perché è difficile parlare con ognuno di loro e fare discorsi di una qualche serietà quando si è in tanti in un certo contesto. Invece sento di aver bisogno di condividere con qualcuno di loro anche le mie sensazioni riguardo al lavoro, all'università, a come vanno le cose in casa. Anzi, soprattutto a come vanno le cose in casa e alla necessità - che si fa sempre più impellente - di avere un posto mio. O mio e della mia ragazza, Eureka.

Ed è qui che casca l'asino: quale delle due opzioni? Non riesco ancora a decidermi, anche se, parlandone con Amazzone, sono riuscito subito a isolare ciò che sono i veri problemi da quelli - pur presenti, ma ancillari - che una scelta di questo tipo comporta. 

Vedremo. Penso di aver scritto abbastanza e anche di getto. Forse troppo.


Dubitamente

Er Matassa

martedì 11 maggio 2021

Stream of consciousness ovvero non può piovere per sempre (forse)

Scrivo questo post al termine di due giornate lavorative che di lavorativo, ahimè, in realtà hanno avuto ben poco, a causa delle mie scarse capacità di concentrazione.

A volte mi sembra di esser ritornato all'anno scorso, quando i giorni trascorsi in questo modo si rincorrevano uno dopo l'altro finché non ne perdevo il conto. Spesso iniziavo la giornata fiducioso e poi la terminavo senza aver concluso nulla, travolto dagli impegni relativi a cose meno importanti o dalle distrazioni e spesso ancor più stanco rispetto a come mi sarei sentito se quel giorno avessi lavorato alacremente.

Eppure Amazzone (così ribattezzeremo la mia tutor e psicologa) me lo ha già detto più volte. "A te sembra di stare fermo, Matassa; ma in realtà sei cambiato un sacco, hai fatto progressi, anche se piccoli. Ll primo passo è rendersi conto di ciò che accade e non limitarsi a subirlo passivamente e tu lo stai facendo".

Sì, penso, è vero. C'è in me una consapevolezza diversa rispetto a prima, lo ammetto. Ammetto cioè il fatto che niente è destinato ad "andare come deve andare", ma può andare in maniera anche diversa. E in questi ultimi mesi questa "maniera" è stata nettamente migliore rispetto alle mie aspettative e a quello che avevo trascorso sinora, lavorativamente e sentimentalmente. Hai vinto tu, Amazzone. Per questa volta. 


Mentre penso che mi alzerò fiducioso dalla scrivania del mio nuovo ufficio, contento nel frattempo del fatto che la giornata lavorativa terminerà comunque prima di cena e non (come spesso mi accadeva prima) dopo cena o nel cuore della notte indipendentemente dal momento del mio ritorno a casa, guardo la finestra e il temporale che al di fuori imperversa su Roma e che in un pomeriggio ci ha fatto ripiombare nel freddo novembrino, mentre tutti (me compreso) erano ormai convinti di averla sfangata e di esser finalmente in quel periodo dell'anno in cui tra dentro e fuori casa passano almeno dieci gradi di differenza, all'interno geli e al di fuori muori di caldo. E invece.

Chissà, forse è anche la malinconia suscitata dal repentino grigiore imperante che mi ha fatto venire questo fastidioso mal di testa. Grigiore che stona con la giornata di ieri, nella quale per un attimo ho quasi avuto la sensazione di ritrovarmi nell'afa agostana che conoscono bene i romani che restano nella capitale ad agosto. Ma stona anche con lo scorso fine settimana, in cui io ed Eureka, la mia ragazza, siamo riusciti a ritagliarci un weekend tutto per noi per festeggiare il nostro anniversario.

Le giornate trascorrono, gli impegni si accavallano, le cose mi sfuggono. Ma stavolta c'è anche la sensazione che in qualche modo, stringendo i denti e le redini, io riesca a star dietro a loro. Quantomeno a quelle più importanti per me.


Ottimisticamente (chi lo avrebbe mai detto...)

Er Matassa

martedì 4 maggio 2021

Con tanti auguri...

...ma senza troppi complimenti, verrebbe da dire.

Sei sempre stato un tipo estroverso, zuzzurellone, estroso, socievole. Non nego, poi, che tu sia sempre affettuoso, propositivo e con una parola di ottimismo pronta all'occorrenza a fronteggiare il mio pessimismo cosmico. Riesci simpatico alle persone, probabilmente perché spesso si limitano a conoscerti superficialmente.

Questo sei tu, caro papà. A tuo modo mi vuoi bene e io, da parte mia, mentirei se dicessi che non te ne volessi. Perché te ne voglio anche tanto.

Una cosa che ti è sempre mancata, però, è il tatto.

Così, caro papà, prima di decidere di punto in bianco di dimezzare l'assegno di mantenimento ("che tanto ora sei in prova in questo nuovo posto, no? Fino a dopo l'estate, giusto? Bene, poi vediamo quando finisce la prova, casomai se va male ritorniamo a com'era prima, d'accordo?"), ma soprattutto prima di mettermi davanti al fatto compiuto di averlo già deciso (e fatto), avresti potuto, che so, condividere il tuo intento con me. Chiedermi che ne pensavo, ragionare a quattr'occhi -  certo, per quanto possibile lo sarebbe stato adesso, visto che non ci vediamo di persona da un anno perché tu vivi nel neanche troppo lontano Nord dell'Italia - magari mi sarei fatto persuaso del fatto che, sì, adesso un taglio ce lo si può dare, perché in fondo ho cercato e trovato un lavoro, proprio come desideravi e mi chiedevi incessantemente ogni volta che mi chiamavi.

Certo, proprio adesso, che sono tormentato dall'incertezza se - nel fare il grande salto e andare a vivere da solo - sia meglio andarmene per conto mio oppure direttamente insieme alla mia ragazza, dunque in un momento in cui avrei avuto necessità di un maggior sostegno economico, avrei forse non condiviso, ma compreso di più le ragioni del tuo gesto, se me ne avessi messo a parte prima.

Un tempismo perfetto, caro papà, non c'è che dire: perfetto come il pugno nello stomaco che mi hai appena assestato.


Instabilmente

Er Matassa

venerdì 30 aprile 2021

Contro lo stigma sulla psicoterapia (con una breve premessa)

Come ho scritto qualche tempo fa, spesso in passato ho avuto il desiderio di aprire un blog anonimo e di mettere nero su bianco tutto ciò che mi passava per la testa in assoluta libertà, senza il timore dovuto al fatto che lo potessero leggere amici, familiari, colleghi, conoscenti e via dicendo. 

Un blog come questo su cui sto scrivendo, insomma, che non sponsorizzo e del quale non parlo con persone che mi conoscono, che pur potrebbero venirne a conoscenza per fatti indipendenti dalla mia volontà. Si tratta, però, di un rischio di cui devo essere consapevole: ché non tutto quello buttato in pasto all'Internet finisce nel dimenticatoio o, comunque, nelle mani di lettori che ci conoscono esclusivamente tramite la rete. Ciò che scrivo qui, ciò che ognuno di noi scrive sul web, è in fondo la proiezione di tutto ciò che gli accade nel mondo reale e che, anzi, sul mondo reale, in ultima analisi, potrebbe pur sempre avere degli effetti.

Detto ciò, mi sono reso conto che, per quanto io possa sentirmi più sicuro dietro lo schermo dell'anonimato, ci sono alcune cose che faccio comunque fatica a condividere. Che si tratti di eventi che mi sono accaduti nel corso della giornata o di riflessioni - spesso scaturite da questi - sui "massimi sistemi", mi sembra, nell'affrontarli qui, di mettermi magari eccessivamente a nudo e preferisco, allora, tenerli per me.

Da qui una prima considerazione (per molti forse scontata) per la quale l'anonimato, in realtà, è pur sempre relativo, perché dipende costantemente dalla nostra volontà di condividere le cose. In altre parole, se lo schermo dell'anonimato ci mette al riparo da certe conseguenze, siamo noi a decidere in ogni momento il confine tra cosa vogliamo mettere in comune e cosa no. Se non accettiamo questa premessa, per noi non basterebbero uno, dieci, cento blog anonimi, ciascuno chiuso dentro l'altro, come in una matrioska russa, nel quale decidiamo gradualmente, spazio dopo spazio, di scavare sempre più nelle profondità di noi stessi; ci sarà sempre qualcosa che avremmo qualche remora a condividere, per la quale l'ennesima barriera dell'anonimato non basterebbe.


Fatta questa premessa e acquisita consapevolezza del fatto che il limite tra ciò che - foss'anche nei confronti di sconosciuti - decidiamo di condividere e cosa no è sempre rimesso alla nostra sensibilità, ho deciso di scrivere, adesso, di qualche cosa di più, perché forse ne vale la pena.

Nell'ultimo post ho scritto di aver iniziato un percorso di introspezione. Questo percorso si chiama psicoterapia. Ho capito che ne avevo bisogno dopo averne parlato con molte persone a me vicine, che mi vedevano star molto male per qualcosa che neanch'io sapevo ben spiegare.

Non è stata affatto una decisione facile. Confesso che avevo molte, davvero troppe incertezze, dettate in parte forse anche dallo stigma sociale che affligge questo tipo di pratica e che ci induce a considerare deboli (o "complessate", come anche si suole dire) le persone che decidono di rivolgersi a degli specialisti del campo. La decisione è maturata dentro di me nel corso di diversi mesi, al termine dei quali sono giunto alla considerazione che, perché no, visto che peggio di così non poteva andare, valeva la pena di fare un tentativo.

Ora sto molto meglio.

Lungi da me voler tentare qualsiasi tipo di spiegazione tecnica o scientifica, sia chiaro: l'Internet è un luogo sin troppo ricco di informazioni, scritte da professionisti con piena cognizione di causa e che sanno descrivere assai meglio di me i benefici cui questo percorso conduce (qui e qui un esempio). Tenevo solamente a dire a chi - come me in passato - si sente costantemente stanco, insoddisfatto del lavoro, delle proprie relazioni o della vita in generale che quello è il segnale che ci si sta avvicinando al burnout personale. E a chi è in dubbio se rivolgersi o meno a uno psicoterapeuta consiglio senz'altro di farlo subito.

Io sto ancora praticando questo percorso, ma ho imparato e continuo a imparare tante cose. Ne scrivo qui alcune, le prime che mi passano per la mente.

Che nessuno di noi è in qualche modo "condannato" a sentirsi per sempre così come vive un determinato momento della sua vita. 

Che ogni piccolo cambiamento - anche solo il rendersi conto che in te e negli altri avvengono certi meccanismi e saperli "fotografare" - è un successo.

Che è vero che non si cambia dall'oggi al domani, ma è altrettanto vero che niente è dato per sempre e conta veramente ciò che facciamo qui e ora.

Che è giusto sentirsi responsabile non di tutto quello che succede, ma solo di ciò che è in nostro potere cambiare.

Che è giusto darci la possibilità di accettare che certe cose, in un determinato momento, non sappiamo farle perfettamente o non sappiamo farle e basta. Che possiamo accontentarci di come le sappiamo fare in quel momento. Che dobbiamo darmi il permesso di sbagliare e di non essere perfetti. È questa l'arma vincente in una società che ci vuole sempre più pronti, perfetti e perfezionisti, insieme alla spontaneità e la consapevolezza che, domani, andrà meglio.

Ecco, ho condiviso un po' più di me con chi - casualmente o periodicamente - si trova a passare da queste parti. Nel far questo, però - e nella speranza, magari, di riuscire ad aiutare qualcun altro - mi sento contento. E manco poco.

Spontaneamente

Er Matassa

domenica 25 aprile 2021

Un anno dopo

Ricordo aprile dell'anno scorso come un periodo terribile.

Dentro casa eravamo tutti (io, mia madre e il suo compagno) preda dell'esasperazione, costretti all'alternativa tra le quattro mura e il viaggio al supermercato. Di andare a spasso nel parco del quartiere, ovviamente, non se ne parlava: il quattro zampe di casa ci ha lasciato proprio alla vigilia del 25 aprile dell'anno scorso e l'atmosfera dettata dalla sua sofferenza non faceva che peggiorare le cose. Sembra ieri, eppure è già trascorso un anno. Impossibilitato a recarmi fisicamente a lavoro, la concentrazione che mi serviva per badare alle relative faccende era pari a zero e l'importante scadenza del dottorato, che si appropinquava sul fronte universitario, non faceva altro che mettermi ansia, nonostante fosse stata prorogata. Tutto ciò si ripercuoteva sulla relazione tra me ed Eureka, la mia ragazza (ho deciso credo qualche post fa di rinominarla così su questo spazio, perché spesso e volentieri ha idee geniali che salvano la giornata/la pagnotta/inserire variabile a piacere), costretti a sentirci per telefono o in videochiamata. Non un abbraccio, non un bacio, non una carezza, niente di niente. Anche le voci degli amici, al telefono, sembravano più metalliche e distanti e il sollievo che erano in grado di dare era assai poco.

Avrei dovuto aspettare l'inizio di maggio e la (sempre parziale) fine della prima ondata per tornare a lavoro e ritrovare un barlume di forza e volontà per concentrarmi. Avrei dovuto aspettare la fine di quel mese per sentirmi dire che, a causa delle condizioni ambientali, sul lavoro non ero e non facevo abbastanza. Infine, avrei dovuto aspettare l'inizio di giugno per prendere la decisione di allontanarmi definitivamente e dedicarmi a tempo pieno alla scrittura (o quasi, ché ovviamente vallo a dire al tutor di dottorato e al suo umore ballerino che vorresti dedicarti solo alla scrittura della tesi perché sei nella merda più totale e non puoi dedicarti a esami, lezioni, ricevimento, lavoro su progetti di contorno e su articoli commissionati da lui et similia).


Oggi ho un nuovo lavoro,  con un piede (ma chissà per quanto) ancora nell'università e ritmi di vita e abitudini in parte diversi rispetto a quelli di un anno fa, certo, forse meno flessibili, ma di sicuro più umanamente sopportabili. Ho iniziato anche un percorso di introspezione e questo mi ha portato a compiere scelte che forse mai avrei preso in considerazione tempo addietro. Sì, a volte mi sento un po' quello di sempre, e in effetti ovviamente sono sempre io, Er Matassa, non un'altra persona, ma in molte piccole cose (che poi, data la loro somma, tanto piccole non si rivelano) mi sento cresciuto, cambiato, più consapevole dei limiti e delle potenzialità miei e degli altri. Ho imparato a dire "no" a certe pretese altrui e a dedicare del tempo a me.

In un anno tante cose son cambiate e credo di poter dire che nell'anno a venire ne cambieranno molte altre. Intanto, però, osservo quanto sin qui percorso e me ne accontento.

Osservatamente

Er Matassa


domenica 11 aprile 2021

Quesito spassionato


Mi scuso anticipatamente con chi avrà la sventura di leggere questo post, da me scritto in fretta e furia e contraddistinto - almeno a me pare, nel rileggerlo rapidamente - da un buon miscuglio di insofferenza, di stanchezza e di disillusione; spero, però, che nulla risulti volgare, offensivo o superficiale.

Il fatto, in poche parole, è questo.

Sento continuamente parlare di gente che va, viene, bighellona e fa i porci comodi dentro e fuori dalle Regioni in zona rossa, come se questa e le pertinenti restrizioni non vi fossero affatto.

Sento di conoscenti che dicono che tanto è tutto finto o comunque fatto a cazzo, che controlli non ce ne sono e che, ove anche ve ne fossero, giustificazioni se ne trovano facilmente.

A questo punto mi chiedo: ci sono anche altri come noi o siamo solo io e la mia ragazza a farci - soffrendo - tanti problemi a vederci (e, dunque, non vedendoci), visto che abitiamo in Comuni diversi in una Regione in zona non già rossa, bensì addirittura arancione?

Anche noi, dunque, dovremmo infischiarcene di ciò che il Governo, per il bene e la salute di tutti quanti, impone?

Pasqua e Pasquetta sono passate, e con loro anche i tre tamponi rapidi (tutti negativi, per fortuna) che mi son dovuto fare a distanza di giorni non appena ho saputo che un mio amico incontrato giovedì santo era risultato positivo, prima al tampone rapido e poi a quello molecolare.

Per farla molto breve, grazie a uno stratagemma, rappresentato dal piantare una tenda in giardino e pernottarci, siamo riusciti a stare insieme e, al contempo, mantenere le distanze dai familiari della mia ragazza, nella (ancora) incertezza in ordine alla mia positività al Covid-19 e comunque forti del vaccino che lei, al contrario di me, ha ricevuto.

Subito dopo, però, rieccoci in zona arancione. Con tutte le restrizioni e le contraddizioni che la contraddistinguono (ivi comprese quelle del non poter recarsi in altri comuni se non per motivi di necessità, lavoro o salute). Non capisco perché non possa andare da una persona che ho visto sino al giorno prima, per giunta con i dovuti distanziamenti e precauzioni anche nei confronti dei suoi familiari - distanziamenti e precauzioni che avrei volentieri mantenuto, se del caso, ove tali da consentire il riavvicinamento mio e della mia ragazza.

Sì, si parla tanto di ricongiungimento con il partner (ammesso, a quanto consta, anche in costanza di zona arancione). Vallo a spiegare, però, che sia tu, sia lei vivete ciascuno con le rispettive famiglie e che non avete una vostra residenza, domicilio o dimora. Voi ve la sentireste di rischiare la multa per così poco?

Così, però, purtroppo non è, e io mi chiedo se il deficiente sia effettivamente io, che sto facendo di tutto per rispettare le restrizioni alla libertà di circolazione ai tempi del Covid-19 a fronte del fatto che tutti gli altri pare che se ne infischino. O almeno questa, allo stato, è la mia percezione della cosa.

Seccatamente

Er Matassa

P.S. Devo ammettere che non è la prima volta che la mia ragazza ha idee geniali o che, quanto meno, ti svoltano la giornata. Sarà per questo che, d'ora in poi, la chiamerò Eureka (ma mi riservo qualsiasi ulteriore modifica, ad Archimede piacendo).

sabato 3 aprile 2021

La vigilia di Pasqua che non ti aspettavi

Alla fine della settimana lavorativa di Pasqua, uno pensa che - più o meno - poteva andare peggio.

Certo, sono tre settimane che non vedo la mia ragazza (alla quale, detto per inciso, ai fini di queste righe ancora non ho trovato un soprannome adeguato), ma la rivedrò questo weekend. E poi mi sono giostrato bene i giorni disponibili per passare Pasqua un po' in famiglia, un po' con lei.

Tutto bene, dunque? No.

No, perché la sera della vigilia di Pasqua vengo a sapere che un amico che ho incontrato di persona qualche giorno prima è risultato positivo al tampone rapido.


E che, non te lo fai un tampone rapido anche tu per sicurezza, il giorno della vigilia di Pasqua?

Tanto cosa vuoi che sia trovare una farmacia aperta di sabato sera prepasquale.

Momenti di panico con la mia ragazza (per fortuna già vaccinata), con la quale ero al momento della ricezione della lieta notizia, pensando alle persone più fragili che ho avuto e ho accanto, a lavoro e in famiglia.

Momenti di rabbia per il mio amico che, forse, avrebbe fatto meglio a starsene più attento, dal momento che - come poi avremmo scoperto - altri due suoi colleghi di lavoro erano risultati positivi al tampone rapido.

Momenti di tristezza, perché il piano di "vacanze" (vacanze per modo di dire, ché non vivendo ancora insieme con la mia ragazza ogni momento buono per ritrovarci insieme da soli è un po' come stare in vacanza) che avevamo in mente - seppur solo in parte - è andato a farsi benedire.

Miracolosamente troviamo una farmacia ancora aperta in zona e riesco a fare il tampone rapido. Esito: negativo.

Tutto bene, dunque (n. 2)? No.

No, perché - come mi faceva correttamente osservare la mia ragazza - non è trascorso ancora il tempo massimo di incubazione del virus da quando ho incontrato il mio amico. Quindi l'esito del tampone rapido lascia un po' il tempo che trova: dovrei ripeterlo tipo a brevissimo, ma il primo giorno utile - ovviamente - è martedì.

Nel frattempo, devo capire come gestire e contenere la cosa in casa con i miei.

Ovviamente, tutto ciò non poteva accadere nelle scorse tre settimane prima di Pasqua, quando - per le restrizioni alla circolazione imposte dalla zona rossa - comunque non mi sarei potuto muovere o far niente insieme alla mia ragazza, che è ...di fuori dal comune (in senso sia letterale, sia figurato). No. Doveva succedere adesso.

Proprio io, che qualche post fa andavo predicando pazienza, mi sto accorgendo che è la mia, di pazienza, a stare per finire.

Pazientemente

Er Matassa

venerdì 2 aprile 2021

Pensieri pasquali ai tempi del Covid-19

 Sono passate da poco le otto di sera.


Passeggio sul marciapiede di una centralissima strada a Roma. Guardo qualche vetrina distrattamente: lo sguardo non mi è mai ricambiato, se non da qualche manichino in servizio permanente. I negozi, infatti, sono chiusi già da un po'.

Nonostante sia venerdì sera, non ci sono persone in giro. Nessuno si incontra per un aperitivo (i bar hanno chiuso i battenti già alle sei di pomeriggio), per cena o semplicemente per bere qualcosa a mo' di inaugurazione del weekend  - certo, io non lo facevo nemmeno in tempi pre-Covid, con tutto il lavoro che c'era da fare, ma tant'è. Nessuno si affanna a cercare parcheggio; di parcheggio, a ben vedere, ce n'è anzi a bizzeffe.

"Pare di stare ad agosto", dice la mia amica che vive qui e con la quale l'unica alternativa per scambiare quattro chiacchiere è rimasta quella di trascinarsi per una passeggiata per le vie del centro. Lei, in realtà, è contentissima: con i tempi che corrono, parcheggia sempre davanti al portone di casa, cosa impossibile in circostanze normali, durante le quali, dopo cinque giri di macchina, trova posto magari a parecchi isolati di distanza. E magari - mi confessa candidamente - senza ricordarsi, la mattina dopo, dove l'ha parcheggiata.

Questa è Roma, questo è il centro di Roma, questo è il deserto che ci si para innanzi mentre riflettiamo sui cambiamenti che questo virus ha portato nelle nostre vite.
Io ho cambiato lavoro, lei cambierà a breve casa. Nessuno di noi due lo dice, ma alla base di questi mutamenti - ne siamo convinti - c'è proprio lui, il Covid-19. Che ha spinto il mio ex datore di lavoro a fare economia nei confronti dei propri collaboratori e la padrona della casa della mia amica, dove lei è in affitto, a darle il benservito per monetizzare la casa in questione, vendendola al miglior offerente sulla piazza già opportunamente individuato. Per questo la mia amica andrà a vivere molto più lontano.
- "Proprio nel momento in cui hai trovato lavoro vicino a casa mia!"
- "Ci siamo incontrati in epoche diverse delle nostre vite", ho pensato e ho poi detto alla mia amica. Lei mi ha guardato, ha soppesato, ha annuito. 

Subito dopo ho riflettuto su un'altra cosa - stavolta, però, senza dir niente alla mia amica, forse per timore di risultare banale.
"Il Covid ha portato grandi mutamenti in ciascuno di noi". Lo dicono in tanti, è vero, ma nessuno lo sa veramente finché non li tocca con mano.
E così, accanto alle conseguenze macroscopiche davanti agli occhi di tutti, che ci riguardano quali membri di una comunità - strade deserte, negozi chiusi, distanziamento ovunque, la necessità di avere sempre con sé gel disinfettante e mascherine per il volto - ce ne sono altre, microscopiche, per ciascuno di noi nella sua individualità e diversità. 

Ognuno di noi ha la propria storia e ogni storia è stata incisa in modo diverso da questa maledetta pandemia.
Ho avuto la sfortuna di perdere il lavoro l'anno scorso e la fortuna di averne da poco trovato un altro (peraltro proprio prima che il Lazio ridiventasse zona rossa). Con la massima umiltà e consapevolezza possibile, forse potrei azzardarmi a dire di aver vissuto una discesa e una risalita. Ma in quanti sono rimasti per strada? In quanti sperano ancora in un lavoro, cercandolo tuttora? In quanti non hanno vissuto una discesa, ma la discesa, senza riuscire a risalire e a rimettersi in sesto?

Rifletto sul fatto che non posso permettermi (e mi riprometto di non farlo) di generalizzare sulle conseguenze - anche economiche - della pandemia, perché in fondo che ne so io di come l'hanno vissuta gli altri?  
Mi viene in mente la frase di Freccia nel film Radiofreccia, che detto per inciso penso sia l'unico ruolo in cui Accorsi mi sta simpatico:
"Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri."

Ringrazio di aver trovato (dopo averlo perso) lavoro in piena pandemia. Ma mi manca il vociare della gente e lo struscio nelle strade. Mi manca la gente e mi manca la normalità, il calore di un bacio, la stretta di un abbraccio di una persona non di famiglia e che - quindi - rende l'abbraccio ancor più prezioso.

Che sia una Pasqua di tranquillità, di riflessione e di speranza. Per tutti.

Er Matassa