sabato 26 dicembre 2020

Di sovrapposizioni e di connessioni


Bene, cerco un po' di riprendere le fila del discorso (dei plurimi discorsi, in realtà) cui avevo appena accennato  nel post precedente.

La vis procrastinatoria, vera e propria croce e delizia dell'anima mia, ha fatto sì che la scadenza importante alla quale stavo lavorando (che non era la scadenza formale, da me già bucata, bensì quella "sostanziale", dettata dalla mia legge interiore) si incrociasse con il periodo in cui una cara persona in famiglia era sottoposta a un delicato intervento chirurgico in ospedale.

Naturalmente, se avessi rispettato la scadenza che mi era stata esternamente imposta, non si sarebbe posto alcun problema di sovrapposizione: #einvece così non è stato. Ragion per cui continuo a fare le spese di quel detto per il quale non bisogna rimandare a domani quello che puoi fare oggi, del quale Hemingway aveva ben inteso l'essenza, come ben ricordato, da ultimo, da alcuni compagni di "viaggio".

Agli interventi chirurgici al tempo del COVID-19 andrebbe di certo dedicato un intero post del blog. Però, oltre a non averne il tempo, non dispongo nemmeno delle conoscenze adatte a descrivere specificamente le caratteristiche di certe realtà. Quel che qui mi preme sottolineare è che oggigiorno, per motivi sanitari del tutto comprensibili, ai parenti di una persona ricoverata è impossibile accedere al relativo reparto, ma devono limitarsi ad attenderla fuori. Così è stato, ovviamente, anche il giorno dell'intervento, in cui siamo riusciti a scambiare qualche parola solamente nel tragitto tra reparto e sala operatoria, durante il quale siamo stati scortati dal portantino.

Così, le parole di conforto che ci si aspetta dai propri cari sono state costrette, prima e dopo l'intervento e per tutta la durata della degenza ospedaliera, all'interno di chiamate e videochiamate, a loro volta vittima delle connessioni dati, sovente non stabili, dei nostri smartphone. L'unica cosa positiva è che, proprio a questo proposito, sono riuscito finalmente nel mio intento di insegnare a fare le videochiamate sia a chi era costretto dentro l'ospedale, sia a chi ne era fuori. "L'occasione", si dice, "fa ch'io ti inquadro". 

L'intervento, fortunatamente, è andato molto bene. Molto meno bene, invece, è stato lo spirito che le circostanze hanno impresso alla convalescenza, a causa della scomparsa di un'altra persona, sempre di famiglia, e dell'impossibilità oggettiva di presenziare al funerale di quest'ultima da parte della persona ricoverata. Nel mentre c'ero io, che facevo la spola tra casa, ospedale e, poi, casa della persona defunta e funerale, a portare i saluti di entrambi. E c'era anche il lavoro da portare a termine: vi lascio immaginare, però, in che condizioni.

Come a Dio è piaciuto, alla fine la persona ricoverata è uscita dall'ospedale, ho ripreso a scrivere con più determinazione e costanza e il lavoro è stato portato a termine. Così come è stata portata a termine anche la presentazione del medesimo. Anche qui, però, come presto scriverò, ne sono accadute delle belle, ma del resto il mondo è bello proprio perché non ci si annoia mai... E penso che - ragionando in prospettiva positiva - sarà quello che continuerò a ripetermi.

Inaspettatamente,

Er Matassa



mercoledì 23 dicembre 2020

Post interlocutorio

 Solo per brevemente dire, ove mai qualche internauta fosse interessato, che:

- sono (ancora) vivo e vegeto (forse più vegeto che vivo);

- è stato un periodo tremendamente denso di avvenimenti - previsti e non, tristi o meno, certo, ma tutti, tutto sommato, importanti;

- com'era prevedibile, ho sforato il termine per portare a termine il lavoro al quale, tra alti e bassi, mi stavo dedicando da tempo;

- ciononostante, sono riuscito, come si suol dire, a "metterci una pezza" e l'esito è stato, in una certa misura (che comunque non mi ha soddisfatto), positivo;

- ho preso, in questo lasso di tempo, (alcune) decisioni rilevanti;

- (almeno) altrettante me ne restano da qui all'anno venturo e oltre;

- se qualcuno, sulla scorta del post precedente, si fosse chiesto se già mi sono comprato un'agendina, la risposta è la seguente: no, non l'ho ancora fatto e - rivoluzionariamente, in un certo senso - temo che quest'anno non lo farò.

Con la speranza di tornare presto a scrivere in maniera più distesa, saluto

Interlocutoriamente

Er Matassa

domenica 1 novembre 2020

Un sandwich per agenda

Leggendo un recente post di Paola S., nel quale fanno la propria comparsa l'agendina dell'Autrice e il suo contenuto, ho pensato all'omologo taccuino del quale sono proprietario e che potrei chiamare, per i motivi che vedremo fra poco, "agenda sandwich".

Un chiarimento si rende necessario: nonostante non sappia rimanere indifferente a qualsiasi bontà gastronomica mi si pari innanzi - ivi inclusi i panini zozzi, con buona pace dei puristi della forchetta - il nome non ha nulla a che vedere con panini, hamburger et similia, ma attiene al contenuto e, anzi, all'aspetto che inevitabilmente assume la mia agendina al termine di ogni anno solare.

Della mia agendina cartacea, infatti, faccio gli utilizzi più vari (in termini di spazio e di impegni ivi annotati). Come sempre, la compro a fine anno per l'anno successivo e l'andamento del suo utilizzo può suddividersi, diciamo così, in tre fasi (o "strati", per restare in metafora).

A inizio anno compilo l'agendina e la utilizzo per segnarci soprattutto impegni di lavoro e appuntamenti.

Verso metà anno mi scordo di possedere un'agendina e mi segno le cose, magari, su Outlook e Google Calendar, applicazioni che spesso (e purtroppo!) ho direttamente a portata di mano, ossia sul cellulare o su desktop.

Verso il finire dell'anno - più o meno in questo periodo - riesumo l'agendina, stavolta, oltre agli impegni, inserendovi principalmente pensieri miei, libri letti e da leggere, film da vedere e frasi che mi hanno colpito.

Certo, potrei anche pensare che questa successione incarni una sorte di hegeliana triade dello spirito, nella quale sono raffigurati gli impegni, il rifiuto di essi e la sintesi tra questi due momenti. Di gran lunga, però, preferisco paragonare la mia agendina a una sorta di "panino" e pensare che, alla fine dell'anno, essa assomigli a una specie di sandwich "rovesciato", sol che se ne osservino i bordi delle pagine: usurate dall'utilizzo e scurite dall'inchiostro ai margini, limpide e ben delineate nel mezzo.

E proprio come quel che promette ogni anno di mettersi a dieta, ma continua inesorabilmente a posticipare il lunedì in cui essa avrà inizio, così alla fine di ogni anno, nonostante mi riprometta di non comprare l'agendina cartacea, finisco inevitabilmente con l'acquistarla, vendendo me stesso alla carta stampata, pur sapendo dentro di me che non potrà sfuggire alla regola del sandwich.

Affamatamente

Er Matassa




martedì 20 ottobre 2020

Anonimi e no

Prima di scrivere qui ho avuto un altro blog, sempre ospite di Blogger.

Si trattava di un passatempo nato quasi per gioco e vissuto nell'arco di circa sette anni, nel corso dei quali si era venuto a creare un legame - piacevole perché dialogico, insolito perché virtuale - con alcuni lettori. Si trattava, spesso e volentieri, di altri blogger, molti dei quali mi leggevano mentre mi trovavo a studiare all'estero, incuriositi dalle mie descrizioni di abitudini e costumi stranieri.

L'assenza di progettualità e il desiderio di interlocutori (ma probabilmente soprattutto quest'ultimo) erano tali che non avevo fatto mistero di chi fossi, di dove vivessi, di quale Università frequentassi; di quali fossero i miei hobby, i miei gusti, i miei progetti per il futuro. In un post dopo l'altro, tessera dopo tessera, era restituito al lettore attento l'esatto mosaico della mia identità. 

Lanciato il sasso, è stato impossibile nascondere la mano.

Una volta laureato, complici il lavoro e le amicizie dei colleghi anche sui social, ho iniziato a sentirmi "inibito", in un certo senso, in quello che scrivevo o, comunque, schiacciato dal fatto di doverne eventualmente rendere conto a qualcuno. Silenziosamente, dunque, ho chiuso bottega, pur continuando a seguire alcuni amici di tastiera in anonimo.

Proprio sull'anonimato mi vorrei soffermare un secondo.



Che il blog precedente non facesse mistero della mia identità l'ho già detto chiaramente. Nondimeno, di me non parlavo una tantum, ma poco a poco e progressivamente, a seconda di quanto mi trovavo a scrivere in un determinato momento. Di modo che, mentre all'inizio avrei potuto decidere, in teoria, se mantenere un "basso profilo" o meno, alla fine mi son trovato a imboccare la seconda strada. La cancellazione del blog ha portato con sé anche quella di molti post ai quali ero affezionato e che purtroppo, per l'andamento che avevano preso le pubblicazioni, era impossibile mantenere online.

Recentemente mi sono trovato innanzi un problema analogo. Su un noto social network avevo un profilo che lasciava intendere qualcosa di me, ma non tutto, in un limbo tra pubblicità e anonimato nel quale, anche nel vecchio blog, all'inizio mi sono crogiolato.

Alla luce dell'esperienza pregressa ho deciso, però, di prendere una direzione nettamente diversa, nel tentativo di distinguere chiaramente ciò che è destinato a rimanere anonimo da ciò che non lo è.

Anzitutto, ho arricchito dei dati mancanti il profilo esistente, rendendolo a tutti gli effetti riconoscibile e a me riconducibile. In secondo luogo, ho creato un secondo profilo anonimo, dedicato a riflessioni che, come questa, legano un più ampio respiro al fatto di poter rimanere parzialmente nell'ombra.

Spero in questo modo di riuscire a salvare ogni pensiero, sia quelli pubblicabili (per così dire) senza veli, sia quelli che, paradossalmente, meritano proprio di esser velati per esser compresi più in profondità.


Velatamente

Er Matassa





giovedì 15 ottobre 2020

Il matrimonio ai tempi del COVID-19

Come anticipato nello scorso post, l'ultima settimana di settembre io e i miei amici siamo stati in trasferta nel (profondo ma non troppo) Sud, in un paesino della Campania (d'ora in poi: il Paesino), ove la mia migliore amica sarebbe convolata a nozze con il ragazzo dopo più di dieci anni di vita assieme: io, assieme a una loro amica, avrei fatto da testimone. Assolutamente vietato, dunque, arrivare in ritardo!

Un matrimonio, pertanto, contrassegnato da due caratteristiche fondamentali, una positiva, l'altra negativa. La positiva è che ci dava l'occasione per una bella gita fuori porta e fuori dal contesto romano. La negativa è che la celebrazione si sarebbe, comunque, svolta in tempo di Coronavirus, cosa che imponeva a tutti, celebranti e partecipanti, sposi e testimoni, invitati e invitanti, il rispetto delle norme di sicurezza statali e regionali volte a prevenire il contagio e la diffusione del virus. Cosa che, prima di tutto, si sostanziava l'utilizzo pressoché sempiterno della mascherina, dalla quale praticamente non ci siamo mai separati. 

Per fortuna mia madre mi ha prestato la sua macchina per la tratta, ché il radiatore della mia, manco a farlo apposta, la settimana prima aveva dato problemi... Così, dopo esserci visti a Termini la mattina di buon'ora, con la mia ragazza e due nostri amici siamo partiti alla volta del Paesino, pronti ad affrontare quattro ore di viaggio.

Prima tappa: Autogrill poco dopo aver lasciato Roma, per incontrarci con le altre due macchine di amici che si erano messe in viaggio il giorno stesso. Tutti bardati e "mascherinati" all'interno della stazione di ristorazione, ci siamo salutati abbastanza rapidamente tra un cornetto e un caffè. Solo il giorno dopo avremmo scoperto che la fretta di alcuni di loro di ripartire al volo era motivata dalla necessità di accaparrarsi alcune stanze da letto doppie a scapito di altri, costretti a dormire in triple, ma poco sarebbe importato per noi dove, quando e con chi dormire, desiderosi soltanto di festeggiare le nozze della nostra amica. Il viaggio, dunque, è proseguito piacevolmente tra chiacchiere in macchina, parole rigorosamente filtrate attraverso le mascherine, e playlist musicali. Qualcuno ha anche sonnecchiato (non io, ché - ovviamente - guidavo!).

Arrivati allo svincolo dell'autostrada, siamo usciti e - galeotto fu il navigatore di Google Maps - ci siamo ritrovati in una serie di stradine nelle quali la macchina passava a stento, costretti a dover scalare ponticelli dalla dubbia tenuta e percorrendo sentieri tracciati sul ciglio di canali mai messi in sicurezza. Tra risate nervose e preghiere sincere, occhiali appannati da mascherine e frenetiche telefonate, siamo riusciti a uscirne e ad arrivare intorno all'ora di pranzo a casa dello sposo, dove ci aspettavano dei succulenti (e non lo dico ironicamente!) panini per placare la fame che nel frattempo si era fatta sentire.

Subito dopo ciascuno è andato nelle proprie stanze. Praticamente io e la mia ragazza non abbiamo avuto nemmeno il tempo di entrare che già si era fatto tardi: niente riposino (come invece avevo sperato, essendo stato costretto a lavorare sino a notte fonda e a guidare in autostrada per quattro ore). Mi vesto, dunque, come si confà a un matrimonio, elegante ma con qualche accessorio vintage, come avevano chiesto gli sposi (in realtà era - ed è - lo sposo quello davvero fissato con queste cose): dei gemelli particolari e una cravatta un po' stravagante (quest'ultima è stata un po' una scommessa, fortunatamente però è riuscita bene!).

Corsi a far le foto con gli sposi, ci siamo poi ritrovati tutti in uno dei palazzi comunali del Paesino, con la mascherina sul viso, ad aspettare l'arrivo della sposa accompagnata dal papà. Confesso che la mancanza di ossigeno e l'essere, quale testimone, lì davanti a tutti assieme alla mia amica l'hanno fatta un po' da padrone e mi sono un po' emozionato. È stata una cerimonia semplice ma intensa, officiata dal migliore amico dello sposo, il quale ha offerto a tutti un breve discorso, ironico e affettuoso, prima della lettura dell'atto di matrimonio, dei pertinenti articoli del codice civile e della sottoscrizione del tutto da parte di sposi e testimoni.

Nemmeno il tempo di realizzare che tutto si era compiuto, che siamo stati trascinati - io e l'altra testimone - a fare le foto con gli sposi nei pressi di una rinomata attrazione turistica e culturale nei paraggi. Che ingenuo, e io che credevo che le foto se li facessero solo gli sposi! #Einvece ci siamo ritrovati - sempre io e l'altra testimone - a sorreggere la sposa, mentre si sollevava il vestito nel tentativo - incerto e maldestro - di camminare su sampietrini bagnati alla volta di scalinate sulle quali essere fotografata insieme allo sposo!

Già, perché le nuvole, sino a quel momento clementi con noi, hanno iniziato sul far della sera a far sentire il proprio brusio. Quest'ultimo sarebbe sfociato in un bellissimo temporale il giorno successivo, che ci ha costretto ad attendere in coda la riparazione di alcuni caselli in autostrada guastatisi a causa della pioggia, oltre che a procedere a passo d'uomo e a sostare per alcuni minuti a bordo della carreggiata nei momenti in cui le bombe d'acqua si facevano più intense. Tutto ciò, però, era ancora in nuce il giorno del matrimonio, sicché l'ardore e la gioia della celebrazione e del successivo ricevimento non sono stati benché minimamente smorzati dal brutto tempo incipiente.

Scattate le foto, siamo rientrati tutti - sposi e testimoni - nel ristorante dove nel frattempo si era tenuto l'aperitivo e dove si sarebbe svolto il seguito della celebrazione. Altra scoperta dei matrimoni del Sud: i testimoni siedono al tavolo con gli sposi (e chi se lo immaginava!). Anche noi testimoni, dunque, da un lato eravamo tenuti come gli sposi a fare la spola tra un tavolo e l'altro di amici e, con la scusa di assicurarci che tutti stessero bene, provavamo a "ravvivare" i tavoli più smorti e "calmare" quelli più irrequieti; dall'altro, abbiamo potuto beneficiare della sovrabbondanza di cibo e vino al nostro tavolo, dei quali siamo stati più volte gentilmente riforniti dai camerieri. Il mio proposito di dimagrire è stato automaticamente traslato al lunedì (della settimana dopo quella successiva al matrimonio, beninteso). 

Il ricevimento è andato avanti sino alle 3 di notte, tra vagonate di cibo e bevande, lanterne cinesi accese, raramente partite alla volta del cielo e più spesso spente in fretta e furia, laddove precipitate rovinosamente a terra; camicie e vestiti irrimediabilmente tinti di vino rosso; invitati che non tenevano più il conto delle portate; danze a ritmo di musica, seppur rigorosamente distanziati e "mascherinati". Un turbinio di momenti felici, alcuni dei quali frenetici, altri più tranquilli; alcuni sobri e formali, altri più sconvenienti e imbarazzanti; alcuni immortalati con foto e video, altri di cui abbiamo solo memoria. Momenti, insomma, di cui abbiamo parlato e parleremo - immagino e spero - senza esserne mai stanchi.

L'ultima chicca: una volta rientrati nella Capitale dopo più di cinque ore di viaggio a causa delle condizioni di mal tempo, alcuni giorni dopo il matrimonio il Presidente della Regione Campania ha vietato la celebrazione di matrimoni con più di 20 partecipanti e intensifica le misure sanitarie e di sicurezza in considerazione dell'andamento della situazione epidemiologica.

Chissà se la mia migliore amica, le cui doti organizzative e preparatorie sono assai risapute, aveva previsto anche questo...

Felicemente e contentamente

Er Matassa




mercoledì 30 settembre 2020

La fine di settembre (e non solo)

Alla fine, quasi tutto (più o meno) è andato in porto.

La (bozza) quasi (finale di) tesi è stata caricata. Si è trattato più dell'averci messo una pezza dove non andava e quello che ho presentato è un lavoro che sicuramente necessita di ulteriori approfondimenti, per i quali - seppur di meno rispetto a quanto fatto sinora - ancora dovrò sbattermi, ma nel bene e nel  male è andata. E devo proprio confessare che sono un sacco fiero delle mie Introduzioni, nonostante le abbia scritte alle cinque del mattino. O chissà, forse proprio perché erano le cinque del mattino: la produttività ama forse nascondersi... Ma vi farò sapere, ché non è ancora finita! E, anzi, spero di non perdere il ritmo acquisito nei giorni scorsi, perché ne avrò proprio bisogno per mettere la parola fine a questa cosa.

Ma saltando di palo in frasca, e parlando di "fini" (o meglio di "inizi") ben più importanti e piacevoli, pare che l'addio al nubilato che ho organizzato per la mia migliore amica sia andato bene. Abbiamo prenotato di gran carriera all'ultimo, in un locale all'aperto e ben areato, seppur con l'ipoteca del dover cambiar posto dopo mezzanotte, e la mia amica mi è sembrata molto soddisfatta. Siamo pure riusciti a spostarci altrove, in un altro posto all'aperto, e a fare tardi. Un'amica aveva pensato a dei pensierini per la sposa, Lisistrata a un biglietto che abbiamo poi scritto e firmato tutti quanti, un'altra ancora a degli oggetti diciamo "adatti" all'occasione (braccialetti e occhiali fosforescenti, collane di fiori, cappellini insoliti etc.)

Tutto andato bene, dunque, nonostante alcune cose.

Nonostante avessi fatto voto di non bere alcolici sino al caricamento della (bozza della) tesi e, in ultima analisi, nonostante quest'ultima.

Nonostante il freddo, che comunque era ancora incipiente e nemmeno lontanamente simile a quello che sarebbe arrivato in questi ultimi giorni.

Nonostante ci siano state delle incomprensioni, poi chiarite, con la testimone dello sposo, che aveva "organizzato" una giornata alle terme aperta a tutti, sposi, testimoni e amici... senza, però, darne notizia ai diretti interessati!

Nonostante la mia macchina si fosse rotta esattamente il giorno prima dell'addio al nubilato (tipico!) e abbia dovuto chiedere in prestito quella del compagno di mia madre per spostamenti vari tra Roma e Provincia.

Il guasto, peraltro, ha comportato, nell'ordine, il dover portare la mia macchina dal meccanico - ove è rimasta sino al (e anche dopo il) matrimonio - e l'utilizzo della macchina di mia madre per recarci al paesino dello sposo, nel (profondo ma non troppo) Sud, dove avrebbe avuto luogo la celebrazione. Per fortuna, però, il matrimonio e la trasferta in sé sono state davvero un'esperienza intensa e credo che ne serberò un bellissimo ricordo. Lo condividerò, però, in un prossimo post, con la ..."dignità" che merita!

Interlocutoriamente,

Er Matassa


mercoledì 16 settembre 2020

"Dieci giornate per me posson bastare" (semicit.)

Son trascorsi dieci giorni dall'ultima volta che ho scritto qui.
Nello studio qualcosa, forse, è cambiato: certo, vado sempre "a momenti", ma molto di meno , e quando il momento "va" (meglio: quando riesco), so essere molto produttivo. Il problema è che quando non va, non lo sono affatto. Fatto sta che ho fatto un bel passo avanti. Altro problema: di giorni me ne restano altrettanti dieci (forse nove, a conti fatti...). E per finire tutto, toccherà (almeno) il doppio dello sforzo profuso sinora. Ma ce la posso fare. Anzi: ce la devo fare.

Altra novità: in casa è arrivata una nuova amica a quattro zampe.
Dopo (ma anche prima di allora, in realtà) che se ne è andato la precedente mascotte della famiglia e fedele compagno di giochi e di vita per oltre quindici anni, mia madre aveva giurato che mai e poi mai avrebbe preso un altro cane in famiglia. Trascorso qualche mese, ci abbiamo ripensato (lei per prima), decidendo sempre di adottare un cane "sfortunato" (ossia sceglierlo per il tramite di un canile o di qualche annuncio di situazioni particolari). Mia madre ha aggiunto che dovesse essere un cane in età avanzata, ché non se la sentiva di prendere di nuovo un cucciolo (il nostro primo "trovatello" aveva poco più di un anno all'epoca del suo ritrovamento). Così si è messa alla ricerca sul web e ha preso contatto con una famiglia che, per sopravvenute esigenze economiche e di salute, non poteva più tenere una cagnolina anziana. Ce l'hanno portata da pochissimi giorni e sembra che con noi si trovi bene: speriamo che fili tutto liscio...!

In tutto ciò, ovviamente, non ho avuto tempo di pensare al matrimonio della mia migliore amica. Che è non a breve: a brevissimo. E non ho ancora organizzato niente per un bachelor party, né deciso che mettermi. Una mia amica mi darà una mano: speriamo bene.


Frettolosamente vostro,

Er Matassa

domenica 6 settembre 2020

Fare dello spirito

Immaginate di trovarvi nel bel mezzo di una funzione religiosa organizzata in un grande luogo aperto, assieme a un discreto seguito di persone rigorosamente munite di mascherina chirurgica e sedute su sedie distanziate l'una dall'altra e debitamente sanificate.

Immaginate il celebrante, persona robusta e personalità di spicco della comunità locale, il quale, dopo aver sottolineato le precauzioni da prendere nei momenti di convivialità, gioisce (davvero!) della prospettiva di ricominciare le funzioni dopo la pausa estiva e proseguirne lo svolgimento all'aperto, perlomeno fin quando lo consentiranno il meteo, la temperatura e (ultimo, ma non ultimo) il Governo.

Immaginate l'occasione, colta dal celebrante nel corso della funzione, per omaggiare di un premio un'altra personalità ivi presente, appartenente al mondo civile e non canonico, ma di pari caratura - nonché robustezza - all'interno della medesima comunità.

Immaginate la sorpresa dell'omaggiato, il quale, a fronte dell'inaspettata laudatio, non essendosi preparato alcuna gratiarum actio, non trova miglior modo per ringraziare il celebrante che dargli due bacetti sulle gote, cosa che, se non ci trovassimo nel presente momento storico (quod non), non avrebbe suscitato lo sconcerto della folla.

Immaginate il mormorio delle persone lì presenti mentre il premiato, direttosi con passo sicuro verso l'impreparato elogiante e schioccatigli due baci sulla guancia, realizza che la sua non è stata propriamente un'idea geniale.

Immaginate il celebrante che, a fronte del funzionario civile paonazzo e imbambolato davanti a lui, dopo un attimo di esitazione, afferma, bonariamente e ironicamente allo stesso tempo: "Be', giustamente non ci si può dar la mano..."

Ecco, in quel momento, mentre l'imbarazzo veniva scongiurato e la gente rideva, ho pensato: "Chi, meglio degli uomini di Chiesa, capisce quando è il momento giusto per fare dello ...spirito?"


Spiritosamente vostro,


Er Matassa

sabato 5 settembre 2020

Il ragazzo che giocava con il fuoco

Non so proprio che cosa mi giri per la testa.

Me ne sono venuto in campagna l'altro ieri, fuggito dalla grande città, con l'intenzione di provare a concentrare e investire le poche energie rimaste in un lavoro che avrei dovuto portare a termine molto tempo fa.

E invece che faccio?

Ad appena una settimana dalla scadenza del termine per la consegna me ne sto qui tutto il giorno davanti al PC a perder tempo, con quel dannato file word aperto e sempre ridotto a icona e tremila articoli da leggere che mi osservano, non ricambiati, dalla scrivania.

A niente hanno valso sinora i mille programmi ed estensioni scaricati su computer e cellulare che promettono di allontanarti da ogni forma di distrazione o svago per periodi di tempo determinati. Molto poco hanno influito i suggerimenti della Lisistrata, la mia ragazza, che spesso prova a spronarmi per impegnarmi e far sì che questo inferno finisca presto. Niente da fare, temo: se una cosa non la vuoi fare, non la farai.

A tanto, poi, si aggiunga il fatto che io tiro fuori la grinta e do il meglio di me quando sto sotto pressione (o almeno così dicono).

Lo sto, sto giocando con il fuoco. Il problema è che sotto pressione, pur essendoci, non mi ci sento affatto, e ciò che mi mete in moto è proprio quello!

Sarà, forse, l'assenza di un adeguato cane da guardia a far sì che mi comporti in tal modo?

Quando questo inferno finirà - e con "inferno" intendo (almeno per ora, a ben vedere) l'intero mese di settembre - dovrò trovare una soluzione a questo mio modo ("non modo", in verità) di comportarmi.

Nel frattempo, l'unica distrazione forse meno inutile e più costruttiva è proprio scrivere qui sopra e leggere gli spazi di altri internauti scrittori, dai quali evinco che spesso (e purtroppo!) non sono l'unico a sentirmi strano o sottotono in questo periodo; a loro, pertanto, va la mia completa vicinanza.

Pericolosamente vostro,

Er Matassa

venerdì 4 settembre 2020

Un settembre particolarmente minaccioso

Odio settembre.

A dir la verità, fintanto che andavo a scuola, mi piaceva l'idea del rientro, del ritrovarsi tutti insieme in classe dopo tre mesi di dispersione più o meno interessanti.

Da quando ho iniziato l'Università, invece, ho sempre odiato settembre. Con tutti gli impegni (dapprima universitari, poi professionali) e le scadenze che incombono e il freddo che torna, lentamente ma inesorabilmente, a imperversare per le strade.

Settembre è arrivato anche quest'anno, ma proprio quest'anno temevo il momento come non mai.

Sul perché ho l'imbarazzo della scelta. Proviamo ad andare con ordine.

i) Ho trascorso tre mesi della mia vita soltanto sui libri, come forse non facevo dai tempi dell'Università (motivo per il quale ho anche trascurato l'aggiornamento del blog). In rapporto al tempo impiegato, però, ne ho tratto un profitto ben minore: lo stato attuale di avanzamento del lavoro è disastragico. La scadenza importante è ormai imminente e qualsiasi speranza che avessi di un'eventuale proroga (anche a causa dell'emergenza sanitaria, che ha costretto alla chiusura numerose biblioteche) è da poco sfumata. Purtroppo l'ansia perenne - che mi ha accompagnato per l'intera estate e anche prima - non è arrivata a un livello tale da darmi l'accelerazione di cui avevo bisogno per chiudere tutto non dico in bellezza, ma almeno dignitosamente; è bastata, invece, tra una distrazione e l'altra, a stressarmi e a farmi venire un febbrone a fine agosto, con ulteriori perdite di tempo e di energie. Mi rimane una settimana scarsa per fare del mio meglio. Chi vivrà, poi (e forse...) vedrà.

ii) In prossimità del termine di scadenza di cui al punto i) la mia ragazza festeggerà il suo compleanno. Conterà pure il pensiero, ma, oltre ai dovuti festeggiamenti, tocca scervellarsi per trovare qualcosa di dignitoso prima dell'ultimo minuto utile.

iii) Alla fine del mese si sposa la mia migliore amica, al matrimonio della quale farò da testimone. E anche lì, ovviamente, c'è il tema del regalo (e che regalo!), del vestito (si tratta, manco a dirlo, di un matrimonio a tema) e dell'organizzazione dell'addio al nubilato, e chi più ne ha più ne metta.

iv) In tutto ciò, dovrei anche pensare a mandare curricula in giro e andare alla ricerca di offerte di lavoro. Sì, ma quando?

v) Quello che è sicuro è che presto avrò bisogno di una vacanza vera e propria, dopo aver trascorso tutti gli scorsi mesi sui libri e - come detto - averne tratto ben poco profitto in rapporto al tempo impiegato.

Ove mai sarò sopravvissuto a tutto questo, s'intende.


Molto faticosamente,

Er Matassa



sabato 11 luglio 2020

Avere trent'anni nel 2020

"Del trentesimo anno non si parla mai. Dei ventenni, dei cinquantenni, degli anziani sì. Programmi TV, ribalte e discussioni politiche. Ma di chi arriva in quel punto della vita dove si tira la prima riga, si fanno scelte o si rinuncia  – un momento decisivo, un bivio nel cammino di tutti –, di questo non si occupa nessuno".

Questa l'introduzione del volume "In tempo di guerra" di Concita De Gregorio, edito da Einaudi nel 2019. Sfido chiunque a smentire le sue parole: i trent'anni, oggigiorno, rappresentano il limbo della vita. Altro che dantesco "mezzo del cammin di nostra vita". Oserei dire che nella "selva oscura", ai nostri giorni, ci si arriva ben prima dei trentacinque anni. Già, perché "dei trentenni non si sa niente. Invisibili alla politica, dipinti attraverso stereotipi, con un piede nel regno dei ragazzi e l’altro in quello degli adulti. Su un terreno troppo soggetto a smottamenti per non farci tremare le gambe, troppo instabile per non farci temere che possano essere sabbie mobili"(1).

Forse non v'è bisogno di aggiungere altro. È però il caso di sottolineare che sia il libro, sia l'articolo che lo recensisce risalgono al 2019. Il limbo che descrivono, pertanto, prescinde dalla pandemia e dalla conseguente emergenza sanitaria che ha colto tutti alla sprovvista, a seguito della quale di certo non esce un quadro più rasserenante.

Chi lo avrebbe detto che avrei atteso così lo scoccare dei trent'anni, per me ormai imminente? Penso alle parole della De Gregorio e le sento mie. Senza più un lavoro fisso, con una scadenza importante alle porte, per la quale sto tentando di scrivere qualcosa che abbia senso compiuto, lavorando chiuso in casa senza aria condizionata (tra i luoghi che sono stati chiusi per l'emergenza COVID-19, com'è noto, vi sono infatti anche le biblioteche e le sale studio). Ma soprattutto, senza alcuna certezza sul mio futuro e su quanto valga la pena spremersi le meningi in queste condizioni. Il tutto con la concentrazione pari a quella di un criceto(2), che fa sì che io sia perennemente in ritardo rispetto alle tempistiche che mi son dato.

Se faccio il paragone con il medesimo periodo dell'anno scorso, è giocoforza dire che stessi meglio. Avevo appena saputo di aver superato la prima prova di un esame importante e, dunque, subito acquistato l'occorrente per prepararmi al test successivo. Nel frattempo ero riuscito a chiedere una proroga per una scadenza allora imminente. Queste gioie erano condivise con la mia ragazza di allora, che frequentavo però da appena qualche mese.

A distanza di un anno, l'esame è stato superato, nel posto in cui lavoravo mi hanno invitato a cercare altrove, la proroga dei termini è finita e la scadenza allora rinviata è, stavolta, veramente imminente. Ragion per cui si prospetta un'estate tutt'altro che rilassante. 
Lei, la mia ragazza, con cui già è passato un anno insieme e con cui, salvi i normali alti e bassi, sto molto bene, è forse l'unica costante rimasta (se non altro quella più recente), famiglia, amici e arti marziali a parte.
Se io sono quello ingarbugliato, lei è quella che, alla fine, spesso e volentieri riesce a sciogliere i nodi. Giusto per rimanere in tema, se io sono Er Matassa, lei potrebbe chiamarsi, che so, Lisistrata. O Balsamo (3).   

I trent'anni ti sorprendono così, quando meno te lo aspetti, nel limbo che non ti aspettavi. C'è un punto della selva più oscuro e inesplorato degli altri. Nel dribbling tra scadenze e impegni, professionali o meno, i trenta entrano a gamba tesa, facendoti cadere e prendere un spavento.
L'importante è rialzarsi e riuscire a trovare un senso nella selva. E procedere, con le persone che ti vogliono bene, in quella direzione.

Er Matassa (con più capelli bianchi della scorsa settimana)

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(1) Come efficacemente si riporta in un articolo dell'Huffington Post a commento del libro in questione. 
(2) Ho tirato fuori dal cilindro il primo animale che mi è venuto in mente, ma effettivamente ignoro se i criceti siano animali provvisti di una qualche concentrazione. Ove così fosse, mi scuso con loro per l'equivoco.
(3) Forse meglio Lisistrata...

venerdì 26 giugno 2020

Gli Spiriti dei Blog Passati

Forse è la prima volta in assoluto che inizio un post senza avere un'idea ben precisa di cosa finirò per scrivere. Confesso che non mi ero mai spinto a tanto...

Certo, forse lavorare in certi ambiti aiuta; una cosa, però, è scrivere qualcosa per lavoro, un'altra è scrivere un post su un blog alle due di notte (anche se v'è da dire che la maggior parte delle "pensate" lavorative riuscite meglio le ho partorite proprio durante la notte).

Certo, forse aiuta anche aver tenuto altri spazi come questo blog in precedenza. Il primo di essi, però, altro non era che uno sfogo adolescenziale. Ricordate Windows Live Spaces? Si tratta di quella piattaforma dal design molto semplice e personalizzabile e collegata a Windows Live Messenger, al secolo MSN... Quel servizio di messaggistica istantanea, purtroppo, è ormai tramontato, portando con sé anche la possibilità di creare blog personalizzati. Dico purtroppo, perché in realtà quei tempi un po' mi mancano.

Quanti ricordi e quante conversazioni trascorse "su MSN"! Creavi un account, aprivi una conversazione e ti sembrava di avere il mondo fra le dita: compagni di scuola, amici del campo sportivo, parenti, gente conosciuta durante le vacanze (e quindi anche persone di cui ormai non avevi nemmeno più memoria). Interi album di foto e di canzoni creati e condivisi tramite Spaces. Oggi, invece, abbiamo una miriade di strumenti per raggiungere chiunque a scapito della lontananza, ma le persone sembrano sempre più distanti tra loro. Secondo me, avere a disposizione infiniti canali di comunicazione significa moltiplicare in modo esponenziale i modi e i tempi delle nostre interazioni, di fatto dissolvendole. "I social network rendono asociali": non so chi lo ha detto, ma so che ha ragione. 

Un secondo blog, invece, è durato un bel po', diciamo dagli anni immediatamente dopo le superiori (durante le quali, come detto, dominavano incontrastati MSN e i servizi a esso collegati) sino alla fine dell'Università. Ci ho scritto molte cose e molto diverse tra loro. Alla fine, con altri blogger, avevamo formato una sorta di circolo in cui ci leggevamo e commentavamo a vicenda; un po' quello che accade come quando, dal vivo, si trovano amici con cui si sta bene. Nei vorticosi anni universitari ("vorticosi" perché mi hanno spinto all'estero per diverso tempo), il blog è diventato un modo per condividere con chiunque ne aveva interesse (soprattutto amici, reali e virtuali, ma non solo) le esperienze in terra straniera e un tramite per ragionare assieme sulle somiglianze e differenze tra Italiani e stranieri.

Una volta approdato nel mondo del lavoro (e fatta la conoscenza di tutti i problemi che gli sono propri), è stato più difficile aggiornare il blog con costanza. Ma non solo. Inizialmente, a firma di ogni post del blog v'erano il mio nome e cognome, a testimonianza della mia beata ignoranza e dell'assenza di alcuna lungimiranza negli anni in cui fu creato. Successivamente ho provato a riparare l'errore, evitando di inserire troppi riferimenti circostanziati e modificando i dati e le credenziali, ma ormai il danno era fatto e anche lo pseudonimo era facilmente smascherabile. Se già il fatto che alcuni lettori ti conoscano ti impedisce di scrivere tutto quello che ti passa per la testa, è evidente che, nel momento in cui i colleghi di lavoro ti aggiungono sui social, la stessa possibilità è ulteriormente compromessa. Silenziosamente mi son fatto da parte, continuando a seguire alcuni blog, ma sotto altro nome.

È buffo: sono partito con un esperimento e non sapendo bene cosa scrivere e sono arrivato a uno dei motivi per cui ho creato questo blog. In realtà, ne ho spiegati - qui e qui - già alcuni, ai quali è arrivato il momento di aggiungerne un altro: raccontare degli episodi, che forse non avrei il coraggio di commentare francamente, se non con il velo dell'anonimato, a me stesso e agli internauti che avranno la ventura (o la sventura!) di navigare sotto costa. Anzi, sotto post.

Er Matassa

mercoledì 24 giugno 2020

In ritardo, come sempre

Sono sempre in ritardo. 

Non parlo degli appuntamenti: a quelli, bene o male, son sempre riuscito ad arrivare puntuale, nonostante i mezzi pubblici e l'incontrollabile (e imprevedibile) traffico romano. A onor del vero, da quando ho un mezzo proprio, purtroppo invece di arrivare in anticipo ho iniziato ad arrivare prima puntuale e, mano a mano, sempre più in ritardo. Ma mi sto rimettendo in riga, complici l'orario di lavoro, la ragazza e la poca predisposizione di entrambi (della seconda, in particolare) a sopportare i miei ritardi.

Quello di cui parlo sono le maledette scadenze (e non solo di lavoro). Non ce ne sia una (e dico una!) che riesca a rispettare e a chiudere in largo anticipo. Non c'è niente da fare: se non mi viene l'ansia, se non sto con l'acqua alla gola, non riesco a carburare e a produrre. Cosa che, indirettamente, si lega a quel problema di concentrazione su cui mi sono soffermato sia in corso di quarantena che dopo.

E dire che ne ho provate tante: suddividere il lavoro in piccoli obiettivi; darsi delle scadenze a breve termine; privarsi di ogni cosa che può rappresentare una potenziale distrazione; promettersi una ricompensa per il lavoro svolto, et cetera, sono cose che mi son sentito dire e consigliare più volte. Niente da fare: per una o due ore riesco a tener testa alla tentazione di fare altro, ma poi, inevitabilmente, ci ricasco. Fino a che, stanco morto, esausto e con una barca di cose da fare, mi ci rimetto, più disperato che motivato, e per il rotto della cuffia riesco a portare a termine il tutto.

Certo è che vorrei riuscire a vivere più serenamente il lavoro, le sue scadenze e i suoi ritmi. A differenza di altre persone, l'esser stato chiuso in casa in quarantena per quasi due mesi non mi ha aiutato affatto a migliorare in questo senso e ora mi ritrovo con una marea di cose da fare, pochissimo tempo per farle e il serio rischio di bucare il termine senza praticamente nulla in mano. Mi piacerebbe viaggiare nel tempo, oltre la scadenza imminente, e vedere se ce l'avrò fatta o meno, e sentire la versione futura di me dirmi: "tranquillo, te la caverai come hai sempre fatto" oppure "stavolta hai sgravato male".

E stavolta non me lo posso proprio permettere.

Er Matassa

domenica 21 giugno 2020

Cotto e mangiato, ossia del dover rimboccarsi le maniche

È trascorso precisamente un mese da quando la mia vita (o almeno l'aspetto lavorativo di essa) ha subìto alcuni stravolgimenti, ma temo proprio di non aver (ancora) saputo farne tesoro.

Ho una scadenza a breve (brevissimo, anzi), ma ogni volta che mi pianto davanti al PC o davanti a un libro a lavorare, inevitabilmente mi distraggo: il fatto di dover necessariamente lavorare al computer e di dover consultare internet, infatti, non aiuta affatto. Né aiuta tenere costantemente monitorato il cellulare (infatti cerco di sbarazzarmene nei momenti di studio e lavoro e di lasciarlo proprio altrove; ma non sempre è possibile).

Chissà se qualcuno degli internauti (casuali o abituali) che leggeranno questo post saprebbe darmi qualche consiglio per superare e vincere le (fonti di) distrazioni... Fermo restando che, ovviamente, quello che deve rimboccarsi le maniche (e fare in modo di ...non fare la frittata) sono solamente io.
Penso comunque che scrivere in uno spazio pubblico, ma anonimo, come questo qui presente, possa aiutarmi, sia per l'aprirmi senza riserve, sia per esercitarmi senza timor di critiche. Un'altra cosa che dovrei imparare, infatti, è scrivere di getto, buttare giù qualche idea e solo in un momento successivo ritornarci sopra, a far labor limae di quello che ho scritto. Mi aiuterebbe un sacco con la scadenza in corso.

Trovare un senso a questo post? Un po' inutile, forse. Sicuramente, però, scriverlo non mi è costato molto tempo (ed è qui il cambiamento): per utilizzare il titolo di una nota trasmissione culinaria, potrei definirlo "cotto e mangiato". Chissà se siamo sulla buona strada...

Er Matassa

lunedì 25 maggio 2020

Caccia al tesoro ai tempi del COVID-19

Noto con sgomento che la ricchezza degli avvenimenti dell'ultimo mese fa da contrappunto alla lentezza della vita in costanza di quarantena da coronavirus. Questione di inquadrature, diceva qualcuno; tutto, se visto da lontano e nel suo essere collettivo, sembra procedere lentamente, tacere e per nulla scorrere. Mano a mano che ci si avvicina, però, ci si accorge che in realtà la staticità è solo apparente, immagine riflessa del grido e del vorticoso farsi della vita di ciascuno.
Così è stato per me, almeno ultimamente. 

Un mese fa l'amico a quattro zampe di famiglia, che quest'anno avrebbe compiuto diciassette anni (sedici dei quali, di "onorato servizio" e amore incondizionato, trascorsi al nostro fianco) se n'è andato, vittima di un male incurabile che si portava dietro da un paio d'anni e che le medicine potevano solo rallentare, ma non arrestare.

Un mese fa non avevo idea che, di lì a poco, mi sarei ritrovato praticamente senza lavoro (o, in un certo senso, a lavoro "in scadenza"...), salutato secondo modalità con cui ho già visto andarsene amici e colleghi e con cui non avrei immaginato di dover fare i conti - perlomeno non subito e giammai in un periodo delicato come questo.

Un mese fa fremevo dalla voglia di riabbracciare la mia ragazza, che già allora non vedevo da più di un mese. L'ho riabbracciata qualche settimana fa; erano trascorsi due mesi dall'ultima volta che l'avevo vista prima della quarantena ed è stata la sensazione più bella che ho provato in questo primo semestre sciagurato del 2020.

Un mese fa avevo completamente perso la forma fisica e la voglia di allenarmi. Solo una settimana più tardi, complice l'ansia di una sorta di test suscitatami da una cara amica, ho iniziato a svegliarmi quasi tutti i giorni verso le sei di mattina e a fare attività fisica. Inutile descrivere il benessere che ne ho potuto trarre

Un mese fa mi sento di poter dire che ero una persona diversa, perché diverse erano le mie certezze e abitudini. Un mese fa, pur costretto a stare a casa come tutti gli altri, avevo la compagnia di un animale domestico e la sicurezza di occupare un posto di lavoro. In un mese queste certezze si son fatte capelli bianchi.

Un mese fa non c'erano la stessa fame di tempo di adesso, la voglia di mettersi in gioco ancora una volta e la consapevolezza che non è affatto opportuno confondere fra loro il lavoro e l'amicizia. La vera sfida, ora, è riuscire in qualche modo a far tesoro di queste esperienze.

La caccia al tesoro, dunque, è aperta.

Er Matassa

venerdì 22 maggio 2020

Wind of Change

"A colui che attende giunge ciò che attendeva, ma a chi spera capita ciò che non sperava" (A. D'Avenia)

Forse sarà questa la citazione con cui ricorderò questa fase della mia vita.
Veniamo ai fatti: in sostanza il Professore, il mio capo, dopo averne parlato con gli altri Colleghi più anziani, mi ha suggerito che è meglio che mi inizi a guardare intorno, alla ricerca di altri posti di lavoro. Devo subito precisare che lo ha fatto trattandomi "con i guanti" (e non solo in senso letterale, come sarebbe logico pensare in questi tempi...): mi ha infatti lasciato carta bianca su modi e tempi della mia dipartita, più volte sottolineando che la fine di un rapporto professionale "stabile" non si tradurrebbe assolutamente in un apprezzamento negativo dal punto di vista professionale, umano e soprattutto morale. Che, semplicemente, lui e gli altri colleghi senior di Studio avrebbero preso atto della mia impossibilità - dovuta anche al fattore ambientale - di compiere quel "salto qualitativo" che si aspettavano da me, una volta superato con successo l'esame di abilitazione. Che spera che questo salto, non arrivato in via "autonoma", possa giungere in via "eteronoma", a seguito di un cambiamento - appunto - del contesto.

Questa cosa un po' la subodoravo nell'aria e in certi comportamenti dei Colleghi, ma non ne avevo la certezza. Quando me l'hanno detto, però, per quanto possa averne avuto sentore, è stata una bella botta.

Un po' mi riconosco in quello che mi è stato detto. Ed è vero che essendo sempre stato in uno Studio piccolo, ove la logica è quella della "bottega dell'artigiano", spesso mi sono trovato a dover supplire a una serie di carenze organizzative nelle quali, qualche volta, mi sono "adagiato", alle volte magari anche trovando rimedi efficaci a tali lacune, ma perdendo di vista l'orizzonte e il senso della professione di Avvocato.

Un po' (un bel po', a dire il vero) però, mi spiace, perché questo è il posto in cui, praticamente quasi da subito dopo la laurea, ho iniziato a lavorare e in cui sono cresciuto umanamente, accademicamente e professionalmente. Ho imparato tante cose e conosciuto tante persone: alcune se ne sono già andate, altre sono arrivate da poco. Mi porto dietro un bel bagaglio di esperienze lavorative, che spero possa servirmi anche in futuro.

Saltare, spiccare il volo, dicono. Già, ma come? L'unica cosa che per ora mi è chiara è che devo cercare di trarre qualche vantaggio da questo momento. Qualcosa per me - io, che ho sempre gli altri al primo posto - e per nessun altro. Come ad esempio ritagliarmi del tempo per pensare a un'altra prossima scadenza - parliamo della metà di settembre - per la quale poco o nulla ho fatto sinora rispetto a quanto avrei potuto.

Cercherò di aggiornare questo piccolo spazio con più frequenza. Chissà, magari, ove riuscissi, anche una volta al giorno, ma non vorrei pretendere troppo da me stesso.
Speriamo di rivederci presto su queste righe. Ma non aspettatemi, mi raccomando: perché "a colui che attende..." (etc. etc.)

Er Matassa

mercoledì 25 marzo 2020

Molto working e poco smart. Del lavoro ai tempi del coronavirus

Son trascorse esattamente due settimane dal giorno in cui, a causa dell'emergenza sanitaria COVID-19 e prima ancora che il Governo lo imponesse per decreto, il Professore ha dato disposizioni a tutti i collaboratori affinché lavorassero, per quanto possibile, da remoto (o comunque non si recassero a Studio più di uno alla volta). Per la verità, a me sembra trascorso molto più tempo, ma penso che ciò sia da attribuire all'infinità di ore trascorse a lavorare o a studiare seduto alla scrivania davanti al computer più che alla quarantena in sé.

Che poi, a pensarci bene, a tutto quel tempo toccherebbe fare la tara tra videoconferenze, teleconferenze, attività collaterali e tutta una serie di problemi ai quali uno, quando si trova fisicamente al posto di lavoro, non deve pensare (o quantomeno non deve risolvere...). Ad esempio, chi aveva mai pensato al giorno in cui avrei dovuto confezionare artigianalmente una bozza di carta intestata dello Studio e stamparla con l'antidiluviana stampante di casa, cercando di fare in modo che il risultato fosse pur lontanamente decente? O più in generale alla necessità di dover evadere telematicamente delle pratiche che, con il vecchio cartaceo, avresti sbrigato in quattro e quattr'otto e che ora impieghi cent'anni per portare a termine, tra wifi guasto, password obsolete e indirizzi email non verificati?

Vi sono poi tutta una serie di seccature alle quali è normale andare incontro se si lavora, ma che sono inevitabilmente amplificate nel lavoro "agile" (che poi non ho mai capito che ci trovino gli altri di "agile" nel lavoro da casa - c.d. smartworking, appunto - dato che, per le ragioni esposte, paradossalmente uno si trova a dover lavorare molto di più!).

Occorre, però, una premessa.

Non so voi, ma io ho bisogno di un po' di tempo per riuscire a trovare la giusta concentrazione per lavorare seriamente. Nell'attuale stato di quarantena, questo lasso di lavoro preliminare - che sulla scia delle mie lacunose reminiscenze di fisica del liceo chiamerò "lavoro latente" - include: il caffè, portare fuori il cane, telefonare alla mia ragazza, fare il punto della giornata sulle cose da fare, la mattina far colazione e darmi una lavata e, in generale, liberarmi di tutte le distrazioni e/o tentazioni possibili (ahimè, alle volte anche un po' distraendomi o lasciandomi tentare...!).

Alla luce di ciò, tra l'intenzione di pensare o scrivere qualcosa e mettermici seriamente passano all'incirca un paio d'ore. Senonché, proprio nel momento in cui - per restare in metafora - inizia il "lavoro sensibile", ecco accadere le cose più svariate. Telefonano la segretaria di Studio per informazioni sugli estremi di quella fattura, il Professore per sapere chi deve scrivere quella bozza o, se la scrivi tu, quando pensi di mandargliela e il tuo Collega per problemi informatici o, comunque, di lavoro. I tuoi genitori ti chiedono di trovargli quella ricetta medica o di stampargli quel documento word o di convertirlo in pdf o di mandare quell'email a quella (ti)zia al posto loro. Telefona l'amica Cesira di tua madre, che ci tiene tanto a parlare anche con te perché è tanto che non ti vede. Telefona l'amico tuo, che non vedi da cent'anni e che probabilmente non rivedrai per altrettanti, ma con cui comunque ti senti spesso e ti dispiace dargli buca. Quando realizzi che, così facendo, hai impiegato (almeno!) altre due ore buone, inizi a realizzare che: la giornata ne ha ventiquattro; quelle lavorative sono molte di meno; la maggior parte di queste ultime è andata o andrà in fumo.

Insomma: indipendentemente da come lo si voglia chiamare, il lavoro da casa ("telelavoro", smartworking, lavoro in modalità "agile" o "da remoto") non è affatto una pacchia come immaginavo. Certo, alla fine si riesce più o meno a pranzare e a cenare a orari decenti, perché è escluso in radice il rischio di tirare per le lunghe le consegne della mattina o quello di rimanere a Studio sino alle dieci di sera per chiudere un atto. Certo, in teoria è possibile organizzare la giornata come meglio si crede, cercando di ritagliarsi del tempo da trascorrere con le persone care, per la cura del proprio corpo o per svagare la mente leggendo un buon libro o guardando un film. Il problema, però, è l'esser costretti a fare i conti con la percentuale di "lavoro latente" (nell'accezione che ne ho dato), percentuale che dalla quarantena esce inevitabilmente ingigantita.

Scherzi a parte. Il problema è che alla quarantena non ci siamo allenati, ma ci siamo finiti, e ciò senza un adeguato preavviso, come avviene per ogni pandemia che si rispetti. Le mie sono solo considerazioni personali, ma penso che sia necessario uno sforzo supplementare per riuscire, nel "letargo" della quarantena, a continuare a fare le cose che uno faceva prima e nella stessa maniera in cui le faceva (e forse, così ragionando, le farà anche meglio di prima). Senza trarne, dunque, pregiudizio per sé e per i propri cari, ma cercando di sfruttare al meglio tutti i momenti della giornata. Ogni secondo è prezioso per fare ciò che deve essere fatto: passare del tempo con le persone che amiamo, lavorare, dedicare qualche attimo a noi stessi; non da ultimo, anche per capire che un domani potremmo passare dalla quarantena a un altro letargo dal quale, però, non ci si risveglia. Pur a casa, dunque, ma sempre con le gambe in spalla; così facendo, ne usciremo tutti quanti.

Er Matassa

venerdì 20 marzo 2020

Il labor limae seguirà

È già la seconda o la terza volta (di quelle che io ricordi, s'intende) che il mio capo (d'ora innanzi: il Professore) dice che sono abbastanza "pletorico" nello scrivere.
Non sarebbe un gran danno, se non fosse che per scrivere quelle cose che lui definisce "pletoriche" ci impiego un sacco di tempo. E con quale esasperazione, poi...!
Il problema è che impiego trecento anni a partorire un pensiero o un'idea che abbia una qualche dignità per esser chiamata tale. Ok, devo ammettere, forse, di essere un po' perfezionista (o insicuro, il che è la stessa cosa), perché il mio approccio è questo: giammai metter qualcosa nero su bianco, finché ciò che ho in mente non è abbastanza definito e non sono consapevole di tutte le sue implicazioni.
La conseguenza è assai scontata. Scrivo un periodo, anzi mezzo periodo; lo trito, lo ritrito, lo capovolgo e lo stravolgo. Lentamente, poi, vado avanti, salvo tornare indietro subito dopo a vedere se quel che ho scritto è ancora lì; se qualche lettera è sfuggita o se ho dedicato troppo spazio a qualche parola;  se la consecutio temporum è corretta; se ha fatto capolino qualche idea più interessante; se quell'andare a capo ci stava o, piuttosto, spezza il discorso.
Insomma: la scrittura è per me una cosa importante, affascinante, ma anche - ahimè - incredibilmente dilaniante. Tanto, anche perché penso di essere un tipo abbastanza lento e riflessivo - e ciò sia nella vita, sia nella scrittura (che poi, come diceva qualcuno che ne sapeva abbastanza, anche la scrittura è vita, no?).
Mi son detto: chissà, uno degli scopi di questo blog potrebbe essere quello di aiutarmi a comprendere e superare i miei limiti da "scrittore". Uno dei quali, come detto, è l'esasperata lentezza, la costante indecisione e l'eccessiva riflessione. Come ti dicono a Roma: "pensace de meno!".
Serve infatti, alle volte, un po' di impulso, di iniziativa; serve saper pensare e scrivere di getto almeno le cose più importanti, perché, come diceva il noto Generale Orazio De Gaulle, il labor limae seguirà.
In conclusione: potrei provare, ogni tanto, a scrivere qualche articolo e metter nero su bianco qualcosa di me e delle mie giornate in poco, pochissimo tempo. Così, "a tasto libero", almeno come idea di partenza. E chissà che qualcuno - io stesso o chi mai leggerà questo minuscolo spazio nella rete - non inizi a prenderci gusto...

Er Matassa

lunedì 10 febbraio 2020

Sintonizzazione in corso

Perché "qui radio matassa"?

Perché era forte in me il desiderio di avere uno spazio - personale e diverso dai precedenti - dove scrivere.

Già, ma perché scrivere?

In primo luogo, è da tanto tempo che non metto nero su bianco i miei pensieri. Mi sono detto: perché non ricominciare? In fondo, si tratta di riprendere in mano un passatempo iniziato ancor prima dell'Università e che nel corso di questa ha trovato sviluppo, compimento e - infine - declino, a causa del minore tempo libero e del mondo del lavoro che mi attendeva dietro l'angolo.

In secondo luogo, scrivere è un passatempo prezioso ed esternare i propri pensieri su una piattaforma informatica ha i suoi vantaggi.

Il primo, se si vuole, è anche abbastanza banale. Nel momento in cui si scrive qualcosa (e indipendentemente dal mezzo utilizzato), lo scritto diviene altro dallo scrivente, il quale lo può ri-leggere con altri occhi; il pensiero, in altre parole, si oggettivizza. In tal modo, si può tentare più facilmente di sbrogliare la "matassa" dei pensieri che frullano dentro (fermo restando, comunque, che trovarne il "bandolo" è tutt'altro paio di maniche...!).

Il secondo discende direttamente dalla condivisione, da intendersi come consapevolezza delle potenziali interazioni con avventori del web fortuiti o abituali (ove mai ve ne saranno!) e del conseguente arricchimento che da tale incontro potrebbero trarre sia loro, sia chi "tiene banco". Insomma: proprio come una moderna radio, che non si limita a "trasmettere" frequenze senza "ricevere" feedback dai propri utenti (ciò che le consente di arricchire i propri programmi).

Questo spazio, insomma, nasce con l'idea che combinare il momento della scrittura con quello della condivisione possa innescare un circolo virtuoso, tale da aiutare chi legge a scoprire qualcosa di nuovo e chi scrive a... sbrogliare le proprie matasse.
Stay tuned, dunque: la sintonizzazione è appena iniziata.

Er Matassa