All'inizio volevo scrivere "con un piede in due scarpe", ma cercando su Internet ho scoperto che ha una connotazione negativa, di persona approfittatrice e arrivista. Poi ho pensato a "con due piedi in una scarpa", ma ho letto che in Sicilia lo usano per dire a qualcuno di starsene composto.
Così, nella speranza di riuscire fuorviante il meno possibile, ho deciso di intitolare il post in questo modo, per cercare di restituire l'idea di sentirmi "dentro una pressa". Le due forze che animano questa pressa - Professione e Università - sono ancora lontane fra loro, beninteso, ma sento, percepisco che gli impegni che ne discendono si stanno accumulando piano piano e che se non faccio qualcosa, mi schiacceranno. E io sto rimanendo inesorabilmente con un bel po' di arretrato...
Certo, rispetto al passato ci sono stati dei miglioramenti. La concentrazione è migliorata, la produttività anche. Ma a volte mi sento un po' come Achille e la Tartaruga del vecchio Zenone: più uno cerca di star dietro alle cose che gli interessano, più ha l'impressione di rimanere indietro. E, allo stesso modo, più queste sono, meno uno riesce a star dietro a tutte quante.
Stasera i miei amici si vedono per uscire. Lo abbiamo fatto anche la settimana scorsa, abbiamo cenato fuori, all'aperto (ché solo all'aperto si può stare nei locali almeno per ora), ma con una fiumana di gente intorno. Altro che distanziamento fra tavoli e mascherine. Oggi, così, ho deciso di passare (tradotto in caso di equivoci: di soprassedere) e di tornarmene a casa, complici anche la pioggia, diverse letture universitarie da ultimare e il mood non proprio da "serata".
Lo stesso mood che mi sentivo un po' ieri sera, dopo essere stato da Amazzone, la mia terapista. Premetto che ogni volta che esco da una terapia con lei sto meglio, eh. Solo che mi sento sempre un po' centrifugato: ché alla fine tutto questo scavarsi dentro mette un po' in subbuglio. A volte mi sento un po' come se stessi tirando fuori dall'armadio roba messa a casaccio e accumulata lì nel corso degli anni e poi cercassi ordinatamente di rimetterla a posto, mettendo da parte gli abiti troppo stretti o troppo rovinati per darli via. È un lavoro che ti fa sentire meglio, ma che fatica...
Così faticoso che ieri sono andato a letto praticamente senza cenare (dico praticamente perché l'unica cosa di cui avevo voglia era qualche pezzo di uova di cioccolato ancora avanzato da Pasqua). E a me in genere l'appetito non manca affatto!
Mi sento, poi, di preferire in questo momento a una serata pur chiassosa e magari allegra un incontro con gli amici a tu per tu, pochi per volta, oltre che per ragioni legate al Covid anche perché è difficile parlare con ognuno di loro e fare discorsi di una qualche serietà quando si è in tanti in un certo contesto. Invece sento di aver bisogno di condividere con qualcuno di loro anche le mie sensazioni riguardo al lavoro, all'università, a come vanno le cose in casa. Anzi, soprattutto a come vanno le cose in casa e alla necessità - che si fa sempre più impellente - di avere un posto mio. O mio e della mia ragazza, Eureka.
Ed è qui che casca l'asino: quale delle due opzioni? Non riesco ancora a decidermi, anche se, parlandone con Amazzone, sono riuscito subito a isolare ciò che sono i veri problemi da quelli - pur presenti, ma ancillari - che una scelta di questo tipo comporta.
Vedremo. Penso di aver scritto abbastanza e anche di getto. Forse troppo.
Dubitamente
Er Matassa