martedì 27 luglio 2021

Di giacca e cravatta, ossia di come sarebbe meglio che l'abito facesse il monaco

Avevo messo tra i propositi di oggi quello di andarmi a prendere una granita al limone, se non altro per poter dire a me stesso, a fine giornata, che almeno una delle cose che mi ero prefissato l'avevo portata a termine.

Entro nel bar e, dopo aver pagato alla cassa, mi dirigo spedito verso il banco gelateria sul lato opposto del locale, convinto che l'obiettivo del giorno sarebbe arrivato da quella parte.

"Ehi, ragazzo, per la granita devi venire da me!", mi fa però il cassiere dopo appena qualche istante.

Faccio dunque dietro-front e torno verso la cassa, dalla quale il cassiere si è diretto al reparto affianco per riempirmi il bicchiere della tanto agognata granita al limone.

Ciò che mi ha dato un po' da riflettere, più che il non aver indovinato la provenienza della granita, è il fatto che, dopo che il cassiere mi ha chiamato "ragazzo", le due colleghe che stavano chiacchierando in disparte prima se lo sono guardato bene, poi gli hanno detto "be', poi, ragazzo...", come a dire "te pare che lo chiami ragazzo?"


Ora, probabilmente l'osservazione delle colleghe del cassiere è stata dovuta al fatto che fossi vestito "da lavoro": seppur senza giacca - opportunamente abbandonata a studio per non incorrere in bagni turchi involontari - avevo indosso i pantaloni scuri dell'abito, una camicia (seppur con maniche arrotolate) e una cravatta, che forse mi conferivano un'aria adulta e non si addicevano a un "ragazzo".

A pensar male, però, spesso si indovina, e quindi - non senza timore - temevo che l'animus corrigendi che ispirasse le donzelle in questione fosse più del tipo "ma l'hai visto questo? Ormai c'avrà un'età, altro che ragazzo!"

Al che, ovviamente punto dal sospetto che, delle due plausibili motivazioni, quella effettiva fosse la deteriore, ho lanciato un'occhiata assai eloquente da sopra la mascherina e ho risposto: "Ragazzo, certo!", dove il sottotesto era: "Il cassiere ha avuto proprio ragione a chiamarmi ragazzo, vorrei ben vedere se uno alla giovine età di trentun anni deve sentirsi chiamare 'Signore'!".

Detto ciò, una delle due donzelle ha accennato un "no ma infatti, solo che vestito così...", avvalorando la migliore delle ipotesi. Ma lasciando in me il sospetto che la motivazione reale fosse l'altra...

A volte, come dicevo, sarebbe meglio che l'abito facesse il monaco!


Sospettosamente

Er Matassa


P.S. Sì, qualche settimana fa ho fatto trentun anni. Dicevano che ne dimostrassi di meno... 

(...sino a oggi!)

venerdì 23 luglio 2021

Comunicazioni professionali e professionisti della comunicazione



Da quando sono arrivato nel nuovo studio sono stato discretamente apprezzato, ma mi dicono che una delle cose su cui ancora devo lavorare - oltre al settore molto specifico in cui lo studio svolge la propria attività - sarebbe la comunicazione professionale.

Mi spiego meglio. A differenza dello studio dove mi trovavo prima - impegnato soprattutto sul fronte processuale e della pareristica classica ("pareristica classica": il cliente ti pone uno o più quesiti, hai a disposizione x tempo - es. una settimana - per redigere un parere legale), qui si fa molta consulenza ("consulenza"= il cliente ti pone day by day specifici quesiti, spesso anche più di uno per singola mail, quesiti ai quali tendenzialmente devi dare risposte in tempi rapidi, con risposte esaurienti, sintetiche e comprensibili).

Completezza, sintesi e comprensibilità, dunque, sarebbero i tratti di una comunicazione professionale efficace, a maggior ragione quando si agisce non come "difensori", ma come "consulenti". 

Ora, devo ammettere che già in passato sono stato ripreso per essere eccessivamente "verboso". Diciamo pure che, nello scrivere, non ho proprio il dono della sintesi, ma semmai la maledizione dell'analisi, della quale - lentamente e faticosamente - sto cercando di liberarmi.

Ciò premesso, però, spesso un Collega mi dice che scrivo email eccessivamente "lunghe" o in linguaggio troppo "giuridichese" e, se a volte la critica mi sembra fondata, altre volte credo invece di essere io ad avere ragione.

La mail è troppo lunga?

Guarda che sto chiedendo al cliente di rilasciarmi una procura alle liti ("rilasciarmi una procura alle liti" = darmi il suo mandato per rappresentarlo e difenderlo in giudizio), non di uscire a cena con me (per quanto anche in questo caso una severa opera di convincimento è stata a volte necessaria). Per questo gli sto dando tutte le informazioni utili a capire il contesto in cui ci troviamo, nonché vantaggi e rischi ai quali potrebbe andare incontro!

La mail è troppo "giuridica"?

Oh amico, ok che uno - come si dice a Roma - deve "parlare come magna", ma è anche vero che esistono diversi modi di magna' e se vai dar macellaro quello che te fa 'e fettine bbone devi saper capire er tajo che te vole rifila'. Uscendo di metafora, quindi, se vai dall'avvocato, ci vai perché ti garantisca un certo tipo di competenze e di risposte alle domande che gli poni. Quindi, sì alla comprensibilità, ma non penso che - quando possibile - debba andare a scapito della professionalità.

Insomma, penso che certe informazioni siano essenziali e che essenziale sia renderle in un linguaggio sì comprensibile, ma tecnicamente corretto e a volte mi pesa davvero tanto metter mano a qualcosa che penso di aver scritto bene.

Il rischio, altrimenti, è quello che, nel dover scrivere comunicazioni professionali, si diventi, al più, dei "professionisti della comunicazione". Con tutto il rispetto per questi ultimi, beninteso. Ma l'avvocato è solo questo? Non è piuttosto anche altro?


Perplessamente

Er Matassa


P.S. Chissà se Saul Goodman, al secolo "Jimmy" McGill, sarebbe d'accordo con me...

giovedì 22 luglio 2021

"Blocchi" di partenza (in tutti i sensi)

L'altro ieri mi sono svegliato dopo aver fatto un sogno un po' strano.

Mi trovavo nel bel mezzo di una gara di velocità atletica leggera, sulla corta, anzi cortissima distanza: saranno potuti essere 60 o 100 metri piani.


Lasciando correre sulla ferita riaperta già così sul mio trascorso giovanile da velocista e sui relativi infortuni, ricordo distintamente che nel sogno, al grido di "ai vostri posti!" dello starter, vado per posizionarmi sui blocchi di partenza, esattamente come avevo imparato a fare. Misurati e posizionati i blocchi utilizzando i piedi e le dita delle mani per le misure più corte, mi inchino, protendo le mani in avanti e fletto i piedi all'indietro, che si vanno a posizionare saldi sui blocchi. 

"Pronti!".

Sollevo il bacino, concentrato solo sul mio respiro e con lo sguardo fisso sul tartan dal caratteristico colore bordeaux, leggermente sbiadito.

Mi azzardo a vedere con la coda dell'occhio se anche i miei avversari si sono posizionati sui blocchi e... con mio grande stupore, vedo che come me aspettano sì il "Via!", ma... in piedi, come si usava fare prima che regolamentassero i blocchi di partenza e come, talvolta, avviene in certe gare (soprattutto le amichevoli o quelle di importanza più locale che altro).

"Ma come! Non è possib..."

"VIA!"

E fu così che Matassa si stava ancora rendendo conto che era l'unico posizionato sui blocchi di partenza, mentre gli altri atleti amatoriali già gli avevano dato una pista.

A niente gli valsero le proteste, anche sonore, all'esito della gara, sul fatto che il regolamento prevedesse tutt'altro.

Sconsolato, lasciò l'arena con le scarpe chiodate appese al collo, a lacci legati.

Cosa avrà mai voluto dire?


Oniricamente

Er Matassa

martedì 6 luglio 2021

Semafori e ragnatele

Ieri mi sono attardato innanzi un semaforo mentre tornavo a casa da una sessione di karate (che da poco abbiamo salvificamente potuto riprendere in presenza).

Mentre attendevo pazientemente che scattasse il verde, ho visto che la luce rossa emanata dal semaforo era curiosamente filtrata da una coltre di ragnatele nella quale non avrei assolutamente osato mettere la mano.

Scattato il verde, invece, nessuna ragnatela si era materializzata. E così sia per il semaforo che si trovava nel mio senso di marcia, sia per quello opposto (che però ammetto di aver visto solo fugacemente).

Prima di questo episodio avrei pensato l'esatto contrario, ossia che i ragni avrebbero preferito farsi la tana sotto la luce verde, che dovrebbe essere quella più duratura e - dunque - maggiormente propizia di vivande. Evidentemente mi sbagliavo...

Non so se vi sia una correlazione tra la tonalità rossa e il procacciamento di insetti, ma il proliferare di ragnatele solo lì mi ha fatto pensare. 

Quanti semafori verdi si incontrano nel corso della propria vita? Io di rossi ne ho sicuramente incontrati molti di più. Piazzati lì dalla famiglia, dai colleghi di lavoro e - last but not least - da me stesso, aspettando che arrivasse qualcuno o si verificasse chissà che cosa.

Mi sono spesso rimproverato di avere tanti freni, ripensamenti, remore. Senza pensare che spesso, paradossalmente, il semaforo rosso è il miglior via libera che uno può avere, se in mente ha, grosso modo, una direzione (della serie: "tutte le strade portano a Roma"...).

E così, prima di inabissarci in una strada senza uscita, fermarsi al semaforo giusto e prendere un'altra strada è stato salvifico. Così come è salvifico il semaforo rosso per la popolazione aracnide.

Ora, però, sento che sta arrivando il momento in cui occorre dar fondo a tutto quello che uno è capace di spendere, senza paura di aver dato o di aver dato troppo, e percorrere fino in fondo certi itinerari.


Movimentatamente

Er Matassa