venerdì 26 giugno 2020

Gli Spiriti dei Blog Passati

Forse è la prima volta in assoluto che inizio un post senza avere un'idea ben precisa di cosa finirò per scrivere. Confesso che non mi ero mai spinto a tanto...

Certo, forse lavorare in certi ambiti aiuta; una cosa, però, è scrivere qualcosa per lavoro, un'altra è scrivere un post su un blog alle due di notte (anche se v'è da dire che la maggior parte delle "pensate" lavorative riuscite meglio le ho partorite proprio durante la notte).

Certo, forse aiuta anche aver tenuto altri spazi come questo blog in precedenza. Il primo di essi, però, altro non era che uno sfogo adolescenziale. Ricordate Windows Live Spaces? Si tratta di quella piattaforma dal design molto semplice e personalizzabile e collegata a Windows Live Messenger, al secolo MSN... Quel servizio di messaggistica istantanea, purtroppo, è ormai tramontato, portando con sé anche la possibilità di creare blog personalizzati. Dico purtroppo, perché in realtà quei tempi un po' mi mancano.

Quanti ricordi e quante conversazioni trascorse "su MSN"! Creavi un account, aprivi una conversazione e ti sembrava di avere il mondo fra le dita: compagni di scuola, amici del campo sportivo, parenti, gente conosciuta durante le vacanze (e quindi anche persone di cui ormai non avevi nemmeno più memoria). Interi album di foto e di canzoni creati e condivisi tramite Spaces. Oggi, invece, abbiamo una miriade di strumenti per raggiungere chiunque a scapito della lontananza, ma le persone sembrano sempre più distanti tra loro. Secondo me, avere a disposizione infiniti canali di comunicazione significa moltiplicare in modo esponenziale i modi e i tempi delle nostre interazioni, di fatto dissolvendole. "I social network rendono asociali": non so chi lo ha detto, ma so che ha ragione. 

Un secondo blog, invece, è durato un bel po', diciamo dagli anni immediatamente dopo le superiori (durante le quali, come detto, dominavano incontrastati MSN e i servizi a esso collegati) sino alla fine dell'Università. Ci ho scritto molte cose e molto diverse tra loro. Alla fine, con altri blogger, avevamo formato una sorta di circolo in cui ci leggevamo e commentavamo a vicenda; un po' quello che accade come quando, dal vivo, si trovano amici con cui si sta bene. Nei vorticosi anni universitari ("vorticosi" perché mi hanno spinto all'estero per diverso tempo), il blog è diventato un modo per condividere con chiunque ne aveva interesse (soprattutto amici, reali e virtuali, ma non solo) le esperienze in terra straniera e un tramite per ragionare assieme sulle somiglianze e differenze tra Italiani e stranieri.

Una volta approdato nel mondo del lavoro (e fatta la conoscenza di tutti i problemi che gli sono propri), è stato più difficile aggiornare il blog con costanza. Ma non solo. Inizialmente, a firma di ogni post del blog v'erano il mio nome e cognome, a testimonianza della mia beata ignoranza e dell'assenza di alcuna lungimiranza negli anni in cui fu creato. Successivamente ho provato a riparare l'errore, evitando di inserire troppi riferimenti circostanziati e modificando i dati e le credenziali, ma ormai il danno era fatto e anche lo pseudonimo era facilmente smascherabile. Se già il fatto che alcuni lettori ti conoscano ti impedisce di scrivere tutto quello che ti passa per la testa, è evidente che, nel momento in cui i colleghi di lavoro ti aggiungono sui social, la stessa possibilità è ulteriormente compromessa. Silenziosamente mi son fatto da parte, continuando a seguire alcuni blog, ma sotto altro nome.

È buffo: sono partito con un esperimento e non sapendo bene cosa scrivere e sono arrivato a uno dei motivi per cui ho creato questo blog. In realtà, ne ho spiegati - qui e qui - già alcuni, ai quali è arrivato il momento di aggiungerne un altro: raccontare degli episodi, che forse non avrei il coraggio di commentare francamente, se non con il velo dell'anonimato, a me stesso e agli internauti che avranno la ventura (o la sventura!) di navigare sotto costa. Anzi, sotto post.

Er Matassa

mercoledì 24 giugno 2020

In ritardo, come sempre

Sono sempre in ritardo. 

Non parlo degli appuntamenti: a quelli, bene o male, son sempre riuscito ad arrivare puntuale, nonostante i mezzi pubblici e l'incontrollabile (e imprevedibile) traffico romano. A onor del vero, da quando ho un mezzo proprio, purtroppo invece di arrivare in anticipo ho iniziato ad arrivare prima puntuale e, mano a mano, sempre più in ritardo. Ma mi sto rimettendo in riga, complici l'orario di lavoro, la ragazza e la poca predisposizione di entrambi (della seconda, in particolare) a sopportare i miei ritardi.

Quello di cui parlo sono le maledette scadenze (e non solo di lavoro). Non ce ne sia una (e dico una!) che riesca a rispettare e a chiudere in largo anticipo. Non c'è niente da fare: se non mi viene l'ansia, se non sto con l'acqua alla gola, non riesco a carburare e a produrre. Cosa che, indirettamente, si lega a quel problema di concentrazione su cui mi sono soffermato sia in corso di quarantena che dopo.

E dire che ne ho provate tante: suddividere il lavoro in piccoli obiettivi; darsi delle scadenze a breve termine; privarsi di ogni cosa che può rappresentare una potenziale distrazione; promettersi una ricompensa per il lavoro svolto, et cetera, sono cose che mi son sentito dire e consigliare più volte. Niente da fare: per una o due ore riesco a tener testa alla tentazione di fare altro, ma poi, inevitabilmente, ci ricasco. Fino a che, stanco morto, esausto e con una barca di cose da fare, mi ci rimetto, più disperato che motivato, e per il rotto della cuffia riesco a portare a termine il tutto.

Certo è che vorrei riuscire a vivere più serenamente il lavoro, le sue scadenze e i suoi ritmi. A differenza di altre persone, l'esser stato chiuso in casa in quarantena per quasi due mesi non mi ha aiutato affatto a migliorare in questo senso e ora mi ritrovo con una marea di cose da fare, pochissimo tempo per farle e il serio rischio di bucare il termine senza praticamente nulla in mano. Mi piacerebbe viaggiare nel tempo, oltre la scadenza imminente, e vedere se ce l'avrò fatta o meno, e sentire la versione futura di me dirmi: "tranquillo, te la caverai come hai sempre fatto" oppure "stavolta hai sgravato male".

E stavolta non me lo posso proprio permettere.

Er Matassa

domenica 21 giugno 2020

Cotto e mangiato, ossia del dover rimboccarsi le maniche

È trascorso precisamente un mese da quando la mia vita (o almeno l'aspetto lavorativo di essa) ha subìto alcuni stravolgimenti, ma temo proprio di non aver (ancora) saputo farne tesoro.

Ho una scadenza a breve (brevissimo, anzi), ma ogni volta che mi pianto davanti al PC o davanti a un libro a lavorare, inevitabilmente mi distraggo: il fatto di dover necessariamente lavorare al computer e di dover consultare internet, infatti, non aiuta affatto. Né aiuta tenere costantemente monitorato il cellulare (infatti cerco di sbarazzarmene nei momenti di studio e lavoro e di lasciarlo proprio altrove; ma non sempre è possibile).

Chissà se qualcuno degli internauti (casuali o abituali) che leggeranno questo post saprebbe darmi qualche consiglio per superare e vincere le (fonti di) distrazioni... Fermo restando che, ovviamente, quello che deve rimboccarsi le maniche (e fare in modo di ...non fare la frittata) sono solamente io.
Penso comunque che scrivere in uno spazio pubblico, ma anonimo, come questo qui presente, possa aiutarmi, sia per l'aprirmi senza riserve, sia per esercitarmi senza timor di critiche. Un'altra cosa che dovrei imparare, infatti, è scrivere di getto, buttare giù qualche idea e solo in un momento successivo ritornarci sopra, a far labor limae di quello che ho scritto. Mi aiuterebbe un sacco con la scadenza in corso.

Trovare un senso a questo post? Un po' inutile, forse. Sicuramente, però, scriverlo non mi è costato molto tempo (ed è qui il cambiamento): per utilizzare il titolo di una nota trasmissione culinaria, potrei definirlo "cotto e mangiato". Chissà se siamo sulla buona strada...

Er Matassa