mercoledì 20 ottobre 2021

Come la voce che ti insegue mentre leggi

Sono due giorni che Eureka torna a casa sull'orlo delle lacrime. Ieri, infine, è esplosa.

Troppo stress a lavoro, mi dice. Datori di lavoro che - ignari delle leggi della ..."fisica" (in senso lato) - la sommergono di compiti, senza però concederle abbastanza tempo per portarli a termine.

Lei, come me, è una perfezionista, e la vita dei perfezionisti è difficile. Niente è mai finito, tutto è perfettibile. Io provo a consolarla: a volte ci riesco, a volte no.

Lei lo sa benissimo, ma non le dico mai che anche io ho le mie scadenze e che queste, lentamente, mi stanno subissando. Il dividermi fra due mestieri (uno ahimè economicamente "imposto", l'altro agognato), del resto, non poteva portarmi altrove. "Almeno a te nel tempo di lavoro non ti chiedono di fare cose collaterali". Già, magari non sono le stesse persone a chiedermelo, ma altre, e nessuno capisce quanto ci voglia a fare tutto quanto. Certo, in questo guaio mi ci sono messo io: ma questo è un'altra storia...

Penso a tutto questo e mi ritrovo inevitabilmente a riflettere sul perfezionismo, sulla procrastinazione, sulle distrazioni. Tutte cose tra loro collegate, mi ha detto la mia psicoterapeuta Amazzone, la quale purtroppo non riesco più a incontrare da due settimane, vuoi per un sopravvenuto impegno di lavoro, vuoi per le dimissioni senza preavviso cortesemente rassegnate dal mio cellulare, che usavo normalmente come router wifi (ora, fortunatamente, me lo hanno riparato).


Spesso penso al perfezionismo come una rete, dalla quale vorrei fuggire senza riuscirci. Irretito è la parola giusta: mentre scrivo o faccio qualcosa mi sento sempre irretito. Mi viene in mente la voce interiore che ti insegue mentre leggi un libro, un giornale o qualsiasi altra cosa: tu leggi e, dentro di te, hai l'impressione di star perdendo qualcosa, di non afferrare tutto quello che c'è scritto, e vorresti sempre tornare indietro, all'inizio del capoverso, del paragrafo, del capitolo per vedere se effettivamente ti sei perso qualcosa. Sto cercando di non darle ascolto mentre leggo e forse ci sto riuscendo: "mi son perso qualcosa? Pazienza, vorrà dire che non era importante". 

Non dar retta alla stessa voce che ti insegue quando scrivi, anziché quando leggi, è invece molto più difficile. "Questo paragrafo avrei potuto scriverlo meglio?"; "quest'espressione qui sta bene?"; "avrei dovuto leggere anche quell'altro articolo?"; "ho già riletto tutto?". Sono solo alcune delle domande che mi faccio incessantemente mentre scrivo un atto, un parere, un articolo, una relazione o anche solo banalmente una mail o un sms. Poi ti chiedi perché sei incessantemente indietro rispetto alla vita (lavorativa e non solo).

Spero solo di riuscire a tenere botta e a uscirne bene. Per non esser trascinato nel baratro dello sconforto e dell'esaurimento. Per dar conforto a me stesso e a Eureka. Per il nostro lavoro e per la nostra convivenza.


Un po' (Di)speratamente

EM


lunedì 11 ottobre 2021

Medio Evo

 La scorsa settimana lo scooter mi ha lasciato a piedi.

"Che accadde?" vi chiederete voi. Non è accaduto proprio un bel niente: semplicemente, mi sono dimenticato di mettere la benzina. Quelle cose che non vorresti che accadessero, non sai perché accadono ma, alla fine, accadono. Complice il fatto che non c'è una spia che si accende e che te lo segnala.

Avevo la testa talmente oberata di cose che mi sono scordato di fare benzina. L'ultima volta che è successo è stato tre anni fa e fu immediatamente dopo aver saputo di non aver passato un esame importante. Ricordo ancora tutti i km in cui mi sono incollato l'allora scooter in questione.

Stavolta stavo andando a un impegno accademico meno importante, ma comunque non indifferente. Fortunatamente il mio cellulare funzionava ancora; e un taxi all'andata, uno strappo di un amico al ritorno (dal benzinaio e poi sino allo scooter abbandonato) hanno fatto il resto. Tutto (quasi) puntuale (un quarto d'ora di ritardo è stato fortunatamente ben tollerato).

Poi mi ha lasciato anche il cellulare. "Così, de botto, senza senso", il venerdì mattina ha deciso che doveva essere weekend anche per lui e si è spento senza mai più accendersi, arrestandosi alla schermata del logo della casa produttrice.

In cuor mio ho temuto di aver gioito troppo per il lockdown di Facebook e WhatsApp, che ha fatto sì che prendessimo la cornetta in mano e chiamassimo non Mondial Casa, ma gli amici con cui normalmente chatto nonostante la loro voce non la senta ormai da diverso tempo.

E niente, stamo col vecchio Nokia, che chi lo uccide quello, per carità. Il problema è che il bel Nokia non sa manco che cos'è un router wifi, figuriamoci se può diventarlo.

"Tra martedì sera e mercoledì mattina vediamo di che si tratta e lo restituiamo". Questa la tecnica dell'assistenza, alla quale temo di non aver rivolto uno sguardo di approvazione, anzitutto perché non era chiaro se i citati martedì sera e mercoledì mattina sarebbero stati i momenti in cui avrebbero "visto" di che si trattava o quelli in cui me lo avrebbero restituito.

Concludo questo stream of consciousness così, scritto in fretta e furia, perché anche oggi non so a chi dare i resti.

Avanzatamente

Er Matassa