venerdì 30 aprile 2021

Contro lo stigma sulla psicoterapia (con una breve premessa)

Come ho scritto qualche tempo fa, spesso in passato ho avuto il desiderio di aprire un blog anonimo e di mettere nero su bianco tutto ciò che mi passava per la testa in assoluta libertà, senza il timore dovuto al fatto che lo potessero leggere amici, familiari, colleghi, conoscenti e via dicendo. 

Un blog come questo su cui sto scrivendo, insomma, che non sponsorizzo e del quale non parlo con persone che mi conoscono, che pur potrebbero venirne a conoscenza per fatti indipendenti dalla mia volontà. Si tratta, però, di un rischio di cui devo essere consapevole: ché non tutto quello buttato in pasto all'Internet finisce nel dimenticatoio o, comunque, nelle mani di lettori che ci conoscono esclusivamente tramite la rete. Ciò che scrivo qui, ciò che ognuno di noi scrive sul web, è in fondo la proiezione di tutto ciò che gli accade nel mondo reale e che, anzi, sul mondo reale, in ultima analisi, potrebbe pur sempre avere degli effetti.

Detto ciò, mi sono reso conto che, per quanto io possa sentirmi più sicuro dietro lo schermo dell'anonimato, ci sono alcune cose che faccio comunque fatica a condividere. Che si tratti di eventi che mi sono accaduti nel corso della giornata o di riflessioni - spesso scaturite da questi - sui "massimi sistemi", mi sembra, nell'affrontarli qui, di mettermi magari eccessivamente a nudo e preferisco, allora, tenerli per me.

Da qui una prima considerazione (per molti forse scontata) per la quale l'anonimato, in realtà, è pur sempre relativo, perché dipende costantemente dalla nostra volontà di condividere le cose. In altre parole, se lo schermo dell'anonimato ci mette al riparo da certe conseguenze, siamo noi a decidere in ogni momento il confine tra cosa vogliamo mettere in comune e cosa no. Se non accettiamo questa premessa, per noi non basterebbero uno, dieci, cento blog anonimi, ciascuno chiuso dentro l'altro, come in una matrioska russa, nel quale decidiamo gradualmente, spazio dopo spazio, di scavare sempre più nelle profondità di noi stessi; ci sarà sempre qualcosa che avremmo qualche remora a condividere, per la quale l'ennesima barriera dell'anonimato non basterebbe.


Fatta questa premessa e acquisita consapevolezza del fatto che il limite tra ciò che - foss'anche nei confronti di sconosciuti - decidiamo di condividere e cosa no è sempre rimesso alla nostra sensibilità, ho deciso di scrivere, adesso, di qualche cosa di più, perché forse ne vale la pena.

Nell'ultimo post ho scritto di aver iniziato un percorso di introspezione. Questo percorso si chiama psicoterapia. Ho capito che ne avevo bisogno dopo averne parlato con molte persone a me vicine, che mi vedevano star molto male per qualcosa che neanch'io sapevo ben spiegare.

Non è stata affatto una decisione facile. Confesso che avevo molte, davvero troppe incertezze, dettate in parte forse anche dallo stigma sociale che affligge questo tipo di pratica e che ci induce a considerare deboli (o "complessate", come anche si suole dire) le persone che decidono di rivolgersi a degli specialisti del campo. La decisione è maturata dentro di me nel corso di diversi mesi, al termine dei quali sono giunto alla considerazione che, perché no, visto che peggio di così non poteva andare, valeva la pena di fare un tentativo.

Ora sto molto meglio.

Lungi da me voler tentare qualsiasi tipo di spiegazione tecnica o scientifica, sia chiaro: l'Internet è un luogo sin troppo ricco di informazioni, scritte da professionisti con piena cognizione di causa e che sanno descrivere assai meglio di me i benefici cui questo percorso conduce (qui e qui un esempio). Tenevo solamente a dire a chi - come me in passato - si sente costantemente stanco, insoddisfatto del lavoro, delle proprie relazioni o della vita in generale che quello è il segnale che ci si sta avvicinando al burnout personale. E a chi è in dubbio se rivolgersi o meno a uno psicoterapeuta consiglio senz'altro di farlo subito.

Io sto ancora praticando questo percorso, ma ho imparato e continuo a imparare tante cose. Ne scrivo qui alcune, le prime che mi passano per la mente.

Che nessuno di noi è in qualche modo "condannato" a sentirsi per sempre così come vive un determinato momento della sua vita. 

Che ogni piccolo cambiamento - anche solo il rendersi conto che in te e negli altri avvengono certi meccanismi e saperli "fotografare" - è un successo.

Che è vero che non si cambia dall'oggi al domani, ma è altrettanto vero che niente è dato per sempre e conta veramente ciò che facciamo qui e ora.

Che è giusto sentirsi responsabile non di tutto quello che succede, ma solo di ciò che è in nostro potere cambiare.

Che è giusto darci la possibilità di accettare che certe cose, in un determinato momento, non sappiamo farle perfettamente o non sappiamo farle e basta. Che possiamo accontentarci di come le sappiamo fare in quel momento. Che dobbiamo darmi il permesso di sbagliare e di non essere perfetti. È questa l'arma vincente in una società che ci vuole sempre più pronti, perfetti e perfezionisti, insieme alla spontaneità e la consapevolezza che, domani, andrà meglio.

Ecco, ho condiviso un po' più di me con chi - casualmente o periodicamente - si trova a passare da queste parti. Nel far questo, però - e nella speranza, magari, di riuscire ad aiutare qualcun altro - mi sento contento. E manco poco.

Spontaneamente

Er Matassa

5 commenti:

Yaxara ha detto...

Hai fatto benissimo se ne sentivi il bisogno! Io esito da... anni, anche perché credo che la fase critica e buia sia passata. Ma non ne sono uscita del tutto indenne. Anche se alla fine mi rispondo che sono problemi da persona viziata e vado avanti così...

Paola S. ha detto...

Questo post avrei potuto scriverlo io in diversi punti. Anche io come te spesso finisco per tenere per me molte cose; sono molto pudica addirittura nelle mie agende personali, talvolta. Non so spiegarti come o perché...
Ed anche io spesso devo convincermi del fatto che non devo essere necessariamente perfetta. Anzi, meglio, del fatto che POSSO non esserlo, che POSSO sbagliare, che POSSO disattendere aspettative :)
Non c'è niente di male, ma è difficile poi metterlo in pratica.
Sono molto contenta per te ed il tuo percorso. Io in realtà non ho mai avuto pregiudizi verso chi sceglie di fare queste "scelte" (è per non ripetere di nuovo "percorso" xD), anzi, al contrario: provo stima perché io personalmente forse non avrei il coraggio di farlo, di aprirmi così a qualcuno ed affrontare in modo così pulito certe cose :)
Quindi bravo, bravissimo :) contentissima per te e per il fatto che intorno a te hai avuto persone altrettanto brave a consigliarti invece che a dirti di lasciar perdere e scoraggiarti con pregiudizi assurdi, appunto :)

Franco Battaglia ha detto...

Importante è fare quello che uno si sente. Possibilmente senza influenze esterne, anche inconscie. Poi se si sta meglio, perfetto.

Clorinda ha detto...

Ho sempre pensato che scrivere di alcuni argomenti su un blog, possa essere addirittura controproducente. Perché ho sempre pensato che chi legge, in totale buonafede e senza volontà di offendere, ma anzi pensando di essere di conforto, potrebbe dire delle cose che rischierebbero di fare più male di un calcio ben assestato.
Meglio la terapia.

Er Matassa ha detto...

Yaxara
Ci ho riflettuto tanto prima. Ma tanto proprio, credimi. Non credo che siano problemi da persona viziata. Se ci pensi, non ti stai viziando affatto, ma è il contrario: il benessere dovrebbe essere un bisogno primario e uno ha tutto il diritto di cercarlo (e trovarlo).

Paola S.
Come dicevo, è stata una scelta molto sofferta. Coraggio credo che ce ne voglia per mettersi a nudo di fronte a qualcuno che se non altro - almeno all'inizio - è per te un perfetto sconosciuto. Se tornassi indietro, però, rifarei la stessa scelta a occhi chiusi.

Franco Battaglia
Grazie Franco. D'accordo con te

Clorinda
Penso ovviamente anche io che non si possa (né si debba necessariamente) scrivere di qualsiasi cosa. Nel mio piccolo, però, vorrei davvero che si iniziasse a pensare che di alcuni argomenti - come la psicoterapia - si può parlare in tranquillità, non come un tabù. Altrimenti si rischia proprio quello che tu paventi: la gente non capisce.
Passi pure il rischio di ricevere un calcio ben assestato. Se serve a dare alle persone un po' di cognizione di causa (e magari assestar meno calci, anche inconsapevolmente), sono disposto a correrlo.
Un saluto

EM