Sin dai tempi del liceo ho un carissimo amico: uno di quelli che ti dice le cose in faccia, senza troppi complimenti, soprattutto se gli stai a cuore. Dotato sia di guanti di velluto, sia di parole che sanno essere ben sferzanti e graffianti, riesce sempre ad arrivare dritto al punto.
"A volte mi sembra che tu stia come su un nastro trasportatore, di quelli che vedi negli aeroporti, per le valigie. Che ti portano dove vogliono loro e tu non fai che assecondarli".
Il mio amico, prima di me, era arrivato a capire e a comprendere ciò che cercavo. Anzi, meglio: ciò che in realtà non stavo affatto cercando.
In principio era l'Università, l'Erasmus, la laurea, lo stage post lauream. Fin lì tutto ok. Poi, per quelle coincidenze che nella vita accadono una volta su mille, il praticantato in uno studio prestigioso, conosciuto tramite una collega e amica universitaria. Di lì il dottorato e di nuovo l'Università. Inizialmente ero davvero entusiasta, del tutto proiettato in una vita che mi era capitata tra le mani e che forse nemmeno ero consapevole di aver scelto: mi smazzavo da una parte all'altra, sempre guardando al mio boss (anzi: ai miei due boss, ciascuno per il proprio ambito, professionale e accademico) come a esempi da cui trarre insegnamenti per prendere sia il meglio, sia il peggio. E questo ok, è un bene. Purtroppo, però - e soprattutto - non mi ero mai chiesto se davvero volessi tutto ciò.
Di lì la (perenne) insoddisfazione, il senso di noia e di incompletezza, la procrastinazione, la distrazione, il mio non darmi ascolto. "Faccio questo e quest'altro. Nella vita voglio, anzi devo, essere questo e quest'altro", ripetevo a me stesso quasi obbligandomi e senza fare i conti con le mie inclinazioni e predisposizioni.
C'è un detto spagnolo che capita a fagiolo (tiè, pure la rima): "El hombre propone y Dios dispone". In breve significa che tu puoi farti tutti i progetti di vita che vuoi, ma poi è la vita che sceglie per te. Dove la vita non sono gli altri, non è il caso e non è nemmeno il Padreterno. O meglio, non sono solo loro.
La vita sei anche e soprattutto tu, anche quando non ti sei mai fatto domande, quando continui a sentirti inadeguato e quando ti chiedi il perché di tale sensazione. Quando continui a forzarti e a obbligarti a percorrere certi cammini, ma senza ascoltarti, senza capirti. Senza vedere veramente quello che ti piace e - soprattutto - senza cercarlo.
Poi arriva il Covid, la quarantena, i litigi a casa tra i miei e con i miei, la perdita dell'animale domestico che era ormai quasi un fratello, il fatto di dover lasciare il posto di lavoro e il dover rispettare scadenze e portare a termine adempimenti che iniziavo a sentire sempre più pesanti. Su consiglio di amici e di Eureka - la mia ragazza - decido di iniziare psicoterapia.
La psicoterapia è stata una delle cose migliori che potessi fare in questi ultimi due anni. Mi ha portato a dubitare di tutto ciò che davo per scontato e a dare importanza a fatti, relazioni, sensazioni e pensieri che prima ritenevo futili o insignificanti. Mi ha aiutato a darmi fiducia e a sostenermi nei momenti più difficili, a capire cosa mi faceva star bene e cosa no. Ma soprattutto, mi ha fatto capire che la cosa più importante che uno possa fare è ascoltarsi. Dar retta a sensazioni. Decidere - certo - non solo di pancia, ma anche di pancia e non solo con la testa.
Non saprei dire come sono arrivato a questo punto. Il fatto è che una volta che impari ad ascoltarti arrivi lontano, anche dove non avresti mai pensato di arrivare. Dicono che non sai dove ti porterà la psicoterapia. È vero. Magari riaffronti problemi e sollevi situazioni scomode, riporti alla luce cose che avevi lasciato sotto il tappeto. Dubiti di cose delle quali mai avresti voluto dubitare.
L'imparare a sostenerti, d'altra parte, ti dà il coraggio di prendere decisioni scomode, ma che senti che possano far veramente bene. Impari a fidarti delle tue emozioni e sensazioni. Impari l'autenticità di certi sentimenti e la finzione, o la sufficienza, di altri. Impari a non accontentarti di situazioni "di comodo", nelle quali sul momento stai bene, ma sai, senti che non è quello che vuoi per te nel lungo periodo.
E allora ti dici: "Non sono più tanto giovane, ma nemmeno tanto vecchio ancora". Inizi a pensare in grande come mai hai pensato sinora, costretto in quel nastro trasportatore che la vita ti ha costruito. Ora, però, capisci che su quel nastro non sei condannato a restare. Del resto, chi lo ha detto che bisogna restare dove la vita ci ha portato? Chi ti impedisce di prendere un'altra strada?
Un distinguo, forse, è opportuno. Non rimpiango e non rinnego tutto quello che ho fatto sinora. Il nastro trasportatore, per rimanere in metafora, è servito a farmi crescere e ad acquisire esperienze, a stringere amicizie, a maturare. Tutto quanto della mia vita, fino a questo momento, mi è servito. Ora, però, è il momento che prenda io il timone. È il momento che sia io a scegliere e non lo faccia qualcun altro per me.
Così ho fatto qualcosa che solo un paio di anni fa non avrei mai pensato di poter fare. Qualcosa di molto incerto e molto scomodo, rischioso e sconveniente.
Sono uscito dal nastro trasportatore.
La settimana scorsa ho detto a Studio che me ne sarei andato alla fine di questo mese. E così sarà, alla ricerca di qualcosa che mi piaccia di più e per/dalla quale io mi senta più portato, appagato, ristorato, intrigato.
Mi sto preparando a qualcosa di più grande, di più bello, che sento possa fare per me. E chissà: magari andrà male o magari, una volta visto l'andazzo, tornerò a fare quello che facevo prima. Ma potrò dire di averlo scelto, allora, e di essermi messo alla prova in qualcos'altro, senza vivere una vita di rimpianti.
E sono felice.
Er Matassa